dalla Luna

 

Ancora sullo Stato di diritto e il pareggio di bilancio

Astolfo sulla Luna,  28.9.2013

 

Sul sito di un partito rifondato da qualche giorno si legge: “L’attacco allo Stato di diritto e ai fondamentali principi democratici merita una fortissima risposta”. Un esponente di punta di tale partito afferma  che un leader del partito avversario “ha smarrito i principi dello Stato di diritto”. Proprio quest’ultimo esponente politico un paio di settimane fa esclamava “Difenderemo lo Stato di diritto.” Ma cos’è questo Stato di diritto che pare stia tanto a cuore di tutti?

 Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède, meglio noto come barone di Montesquieu, nel lontano 1748 affermò che è “esperienza eterna che ogni uomo, il quale ha in mano il potere, è portato ad  abusarne, procedendo fino a quando non trova dei limiti. Anche la virtù ha bisogno di limiti. Perché non si possa abusare del potere bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere». D’accordo, la frase può essere considerata non del tutto chiara e quindi essere interpretata in diversi modi. Anche quel riferimento alla “natura” umana, potrebbe sembrare moralistico, dati i tempi.

 Leggiamo allora in un manuale per la prima classe delle medie superiori questa semplice definizione: “Stato di diritto significa che tutti, anche gli organi pubblici, sono soggetti alla legge”. Quindi un organo pubblico, ad esempio un parlamentare, viola lo Stato di diritto quando si rifiuta di soggiacere alla legge. E in che modo questo soggetto può evitare di rispettare la legge? Ad esempio sottraendosi ad una sanzione comminata dall’autorità giudiziaria in caso di violazione di una determinata norma di legge. Infatti lo Stato di diritto implica – anche per le osservazioni di carattere “morale” del barone di Montesquieu – la separazione dei poteri, e ciò significa che se il potere legislativo ha prodotto una norma, spetta al potere giudiziario farla rispettare. Questo si legge nelle prime pagine di un manuale di diritto per ragazzi di quattordici anni.

 Altra notizia di questi giorni: a seguito del rientro dagli Stati Uniti del suo capo, il governo italiano sta approntando una manovra fiscale che farà aumentare l’acconto dell’Ires (al 103%) e dell’Irap e le accise sulla benzina di 2 cent al litro fino a dicembre e 2,5 fino a metà febbraio. Quale il motivo di tali aumenti?  Far slittare da ottobre a gennaio il ritocco dell’Iva al 22%.

 Riassumiamo: da alcuni giorni assistiamo alle prove generali di declino del nostro paese (evidentemente la lista “Fermare il declino” ci ha portato sfortuna), con la Telecom venduta agli spagnoli mentre i suoi manager dicono che non ne sapevano nulla, con l’ennesima ricapitalizzazione a fondo perduto dell’Alitalia, per salvare l’italianità di un’azienda che macina da anni perdite a sei zeri, con l’Ansaldo – azienda strategica anche per le forniture militari – venduta ai coreani, e buon pro gli faccia. Può bastare? Evidentemente non basta se, per incoraggiare gli investimenti produttivi in Italia viene aumentata l’imposta sui profitti delle società e quella sul risultato lordo d’impresa (che, assurdità tutta nostrana, tassa pure il costo del lavoro).

 E tutto questo a quale scopo? Allo scopo dichiarato di evitare l’aumento dell’Iva che – si sa – viene pagata dai consumatori finali i quali così farebbero meno acquisti natalizi. Come se l’aumento della benzina alla pompa non avesse un effetto moltiplicativo sul livello generale dei prezzi, visto ad esempio che oltre il 90% delle merci italiane viaggia su gomma, con inevitabile effetto depressivo sui consumi (prezzi più elevati = meno domanda). Dunque sembrerebbe una manovra ad effetto quasi nullo: si diminuisce la tassazione sui consumi da un lato aumentando quella sugli investimenti e in parte comprimendo di nuovo i consumi dall’altro. Anche questo si legge in un comune manuale di scienza delle finanze, per quanto un ragazzo ci arriverà a diciotto anni, proprio quando dovrebbe essere pronto, attraverso l’esercizio del diritto di voto, a scegliere oculatamente chi lo rappresenterà in Parlamento e, per tramite di questo, al Governo.

 Appunto. Forse i nuovi manuali di scienza delle finanze spiegheranno il vero motivo di queste manovre fiscali apparentemente incomprensibili. Intanto però, rischiamo di tornare a votare per non aver capito bene il significato di Stato di diritto e non aver frequentato una quinta dell’istituto tecnico. A votare – cornuti e mazziati – con una legge che non ci permette nemmeno di scegliere i nostri rappresentanti.

 

Trento, 28 settembre ’13     
 

Astolfo sulla Luna


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