dalla Luna

 

Compendio di subcultura leghista,
ovvero come plasmare giovani menti

Astolfo sulla Luna,  12.3.2011


Viaggio spesso in treno, e, qualche tempo fa. in una delle nostre sgangherate e maleodoranti carrozze, alle quali in fondo un pendolare finisce quasi per affezionarsi, viene a sedersi a fianco a me una famigliola-tipo della Marca ruspante: un energico signore in odore di pensione (o forse già in pensione di anzianità?), una scialba signora tutto casa e fabbrica, un baldo giovanotto in età (?) da emancipazione. Sono immerso come al solito nelle mie amate letture - e la fitta conversazione familiare non è niente più di un rumore di fondo - quando vengo improvvisamente attratto dal ragionamento del padre: sta parlando dell’intervento di Benigni al Festival di Sanremo e con l’aria di uno che la sa lunga osserva che il comico, nel ricordare i vari personaggi che hanno fatto l’Italia, si è dimenticato di dire che erano tutti massoni..

Sto per intervenire (è fresco, a proposito di trasparenza del potere, il niet del vertice leghista a qualche ora dalla messa in onda della trasmissione “In mezzora” della Annunziata), ma mi trattengo perché l’occasione è troppo ghiotta: così, senza distrarmi dalla lettura, prendo nota della conversazione, anzi del monologo del padre-predicatore, interrotto da qualche battuta del figlio-discepolo, mentre la madre, tenendo in mano un bastone (l’asta di una bandiera?), appare persa nei suoi pensieri.. Così si passa dalla teoria del complotto politico (Eco non docet), sottintesa dai vaghi cenni di storia dell’unificazione italiana, all’analisi apparentemente tecnica del mercato mondiale delle fonti di energia e dei mezzi di trasporto, passando per la sistematica denigrazione personale di leader politici e imprenditoriali della parte avversa; il tutto condito con un atteggiamento di vago allarmismo apocalittico, adatto al tono da predicazione tuttologica assunto dall’oratore, nella cui parlata dialettale risalta qualche termine italiano, non traducibile.

Ieri sera assisto alla puntata di Exit in cui l’ottima Ilaria D’Amico manda in onda fra l’altro il filmato dell’unica breve contestazione finora subita dall’erede al trono leghista Bossi jr, e qualche tassello del mosaico del consenso politico goduto da questa formazione politica soprattutto fra i giovani settentrionali comincia ad mettersi al suo posto: i ragazzi intervistati nella piccola sezione di partito del varesotto in cui è successo il fatto, rispondono come da catechismo interrotti da scrosci di applausi. In studio, un eminente esponente politico dell’opposizione nota che ciò mostra che nella Lega c’è confronto e dibattito: poiché l’impressione di dibattito presente nella base leghista è suscitata dalla convinzione e sicurezza con cui i giovani rispondono “a dovere” alle domande dei giornalisti, se ne deduce che tale dibattito serve a inculcare nei giovani che frequentano le sezioni il “verbo di partito”. E ciò in qualsiasi partito, e quindi per qualsiasi “verbo”, dato che l’esponente politico di cui sopra tiene a precisare che ci sono molti giovani anche nella sua parte politica.

Fin qui nulla di particolarmente nuovo: un partito è di parte, quindi chi vi appartiene deve aderire alla sua visione del mondo. Il problema è appunto la visione del mondo che, nell’epoca delle ideologie tramontate, o è qualcosa di molto complesso e quindi piuttosto sofisticato, oppure è all’opposto un verbo di una semplicità disarmante. Che nella Lega comincia appunto da una idea molto semplice, anzi antica: la leadership si trasmette per successione dinastica, sistema che elimina alla radice la possibilità di complotto per il potere. Alle regioni governate da una forza politica di questo tipo, viene promessa autonomia nell’amministrare le proprie risorse e viene fatta balenare la possibilità di sottrarsi dai vincoli comunitari per poter fronteggiare agilmente le varie emergenze, dagli immigrati al rincaro dei costi delle materie prime alla concorrenza delle imprese straniere, alla criminalità.

Vengono cioè promesse cose in gran parte irrealizzabili che però apparentemente garantirebbero anche in futuro il tenore di vita goduto finora dalle giovani generazioni del Nord. Cosa c’è di più desiderabile per giovani abituati invece ad ascoltare profezie minacciose che se realizzate minerebbero pesantemente la loro prosperità? C’è una dedizione che ha del religioso in questi giovani che difendono accanitamente i loro capi e sostengono animosamente i loro dogmi politici. Non desterebbe sorpresa se la dizione Repubblica del Nord che appare ancora in numerosi cartelli stradali fosse sostituita in futuro con Regno di Padania più adatta a sottolineare l’origine sacrale della “nuova” compagine politico-territoriale. Allora sì che si tornerebbe ai regni romano-barbarici, altro che Alberto da Giussano che guida la Lega dei Comuni lombardi contro gli eserciti imperiali.

10 marzo 2011

 

Astolfo sulla Luna
 


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