dalla Luna

 

Note al "Proclama" sulla formazione iniziale degli insegnanti.

Astolfo sulla Luna,  23.9.2010


Lo slogan della ministra nel presentare il “nuovo tassello nella riforma” (ma è un mosaico o un collage? Oppure un patchwork? Mah, la metafora dimezzata ci lascia il dubbio..) che nella conferenza stampa del 10 settembre proclama “si passa dal sapere al sapere insegnare”, viene ripetuto alla noia nel pur breve comunicato ufficiale, ridondante in molti punti.

Per inciso, passare dal sapere al saper insegnare significa letteralmente “sfornare” futuri insegnanti che non sanno più cosa insegnare, pur sapendo magari a menadito come insegnare… significa cioè addestrare persone ad usare un mezzo senza sapere per quale fine usarlo, avere un bicchiere senza il liquido da bere, e così via... Eppure in-segno richiama il gesto di indicare un segno, una direzione, quindi l’etimologia della parola allude a quello che dovrebbe essere lo scopo, il fine di questa professione. Se il regolamento appena emanato dalla ministra fosse veramente in linea con questo infelice slogan, sembrerebbe più adatto ad un’altro lavoro, una specie di mediatore didattico neutrale dal punto di vista disciplinare.
Cosa può fare uno slogan... E sì che dovrebbe averne di suggeritori la ministra!!  Ci fa venire in mente quando disse, durante un’altra delle sue numerose uscite ufficiali, che finalmente la scuola “insegnerà le competenze”… Tornando all’ultima, sarebbe bastato sostituire al verbo “passare” l’altro verbo “aggiungere” facendo attenzione alle diverse reggenze e lo slogan avrebbe avuto ben altro significato, anche se forse non avrebbe “suonato” altrettanto efficacemente: il richiamo al martellante slogan del noto gestore di telefonia mobile, il quale dice “passa a..” e non “aggiungi a .. il..” può aver indotto in errore, anche se il gestore telefonico – per evitare citazioni in giudizio – si è guardato bene dallo specificare cosa si doveva abbandonare!

Sarebbe ingiusto però limitarsi alle critiche superficiali, senza entrare nel merito di alcune novità di questo provvedimento: in primo luogo è una buona idea il Tirocinio formativo attivo, anche se ci lascia perplessi il significato della locuzione “direttamente a contatto con le scuole”. Per essere tale una attività di tirocinio deve essere svolta sotto la guida di un “maestro” del mestiere - un in-segnante a contatto quotidiano con i suoi allievi- e non, come si legge più avanti nel comunicato, sotto la guida delle Università che, fino alla costituzione degli albi delle istituzioni scolastiche accreditate, sceglieranno liberamente le scuole, sotto la vigilanza degli USR. Se c’era qualcosa di buono nelle “vecchie SSIS” (che dopo nemmeno un decennio di attività sono state improvvisamente chiuse dalla Gelmini due anni fa), delle quali si afferma il regolamento abbia “preso il meglio”, era infatti il tirocinio autogestito dalle scuole e gli insegnamenti delle didattiche disciplinari affidati a contratto a docenti delle secondarie e non ad universitari di carriera che, se anche sanno qualcosa di didattica, ne hanno una conoscenza puramente teorica.

Ora, non mi pare che affidarsi alle Università anche per organizzare il tirocinio, sia il modo migliore per evitare “le ripetizione degli insegnamenti disciplinari, approfonditi già nella laurea e nella laurea magistrale”, che effettivamente si sono rivelati il peso realmente insopportabile per le passate generazioni di sissini. Quanto allo “specifico spazio di laboratori destinati ad approfondire quanto viene fatto in classe” sarebbe un’idea veramente interessante ma, con quali “forme di interazione e coprogettazione fra scuola ed università” ne verranno stabiliti i percorsi? E poi, dato che i laboratori verranno attivati nel biennio di laurea magistrale, quale spazio avranno i docenti della secondaria nella loro conduzione? E quale sviluppo verticale si potrà creare fra laboratori disciplinari e attività di tirocinio se i docenti delle scuole “scelte o accreditate” non avranno uno spazio istituzionale per discutere ed organizzare questi percorsi di continuità formativa? Ed infine, quali potranno essere i criteri ministeriali per gestire l’albo delle istituzioni scolastiche accreditate, se “buone prassi e specificità” seguiranno il vezzo tutto italiano del criterio del merito accertato a colpi di carta bollata? Ma questa è un’altra storia.


23 sett. 10

 

Astolfo sulla Luna
 


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