dalla Luna

 

Perchè le forze produttive hanno cambiato idea
riguardo agli Istituti Tecnici

Astolfo sulla Luna,  6.11.2009

 

Quattro anni fa, quando il governo - con il decreto legislativo n. 226/05 di attuazione della delega data dal Parlamento con la “riforma Moratti” del 2003 - progettava di istituire il liceo economico e il liceo tecnologico mentre la parte restante dell’istruzione tecnica avrebbe dovuto passare alle regioni, le forze sindacali e confindustriali si opposero fermamente al disegno riformatore; a parere dei protagonisti delle relazioni industriali tale progetto rischiava di distruggere quei pezzi importanti di scuola italiana che avevano garantito la cultura tecnica necessaria per formare i quadri aziendali delle imprese piccole e grandi del nostro paese. Il risultato fu, dopo il fallito tentativo di sperimentare la riforma nel primo semestre 2006 e il cambio di maggioranza, prima il congelamento della riforma con la “politica del cacciavite” di Fioroni, e poi la ripresa del disegno riformatore, riconducendo però tutta l’istruzione tecnica e professionale nell’alveo statale.

Dopo il nuovo cambio di maggioranza della primavera 2008, la politica scolastica in questo settore si è svolta all’insegna della continuità e di recente la Conferenza Stato-Regioni ha dato parere positivo alla “riforma Gelmini” degli istituti tecnici, con il plauso delle associazioni imprenditoriali (vedi il Sole24Ore del 30/10/09). Vien da chiedersi quali siano le ragioni di questo voltafaccia, considerato che non è possibile che la struttura industriale del paese abbia subito in un così breve periodo di tempo un mutamento tale da modificare il ruolo di un fattore produttivo strategico qual è il capitale umano. Nemmeno si può pensare che la congiuntura internazionale abbia influito nel senso di rendere meno importante la cultura di base della forza lavoro, proprio nel momento in cui viene richiesta la massima flessibilità a tale fattore produttivo, cosa che si traduce – fuori dalle metafore del linguaggio tecnico – nel brutale aumento della disoccupazione a cui stiamo assistendo in questo periodo.

Evidentemente le associazioni imprenditoriali – diversamente da quattro anni or sono - ritengono complessivamente positivo il nuovo disegno degli istituti tecnici, i quali continueranno a loro giudizio a fornire personale tecnico qualificato.

Eppure si sono levate, da parte di personalità non sospette (il prof. Bertagna in Nuova Secondaria del 15 settembre ‘09), forti critiche a questo disegno riformatore: la notevole riduzione dei quadri orari dei vari indirizzi, attuata senza privilegiare le discipline portanti di ciascuno di essi, unita alla quota di flessibilità che può arrivare alla metà del monte orario, rischia di moltiplicare in modo caotico ed irrazionale i piani di studio offerti dagli istituti appartenenti ad uno stesso indirizzo. Si aggiunga che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è di fatto fortemente vincolata sia sul piano ordinamentale che finanziario, il che crea una profonda contraddizione fra le aspirazioni dei singoli istituti ad offrire una formazione di qualità e la reale possibilità di realizzare tali aspirazioni; a questo punto i dubbi che la “riforma Gelmini” non sia altro che un espediente per giustificare i pesantissimi tagli al personale della scuola diventano certezza.

Ma allora, sorge il sospetto che il favore con cui la Confindustria vede la riforma, non sia dettato dalla qualità complessiva della stessa, quanto dagli “effetti collaterali” in termini di risparmio pubblico. E dalla speranza di rifarsi in sede locale, attraverso il canale dei comitati tecnici-scientifici e della cogestione delle esperienze di tirocinio e di alternanza scuola lavoro. Il tutto in attesa che l’atteggiamento della nostra piccola e media imprenditoria nei confronti della formazione del personale, che è sempre stato – salvo qualche meritoria eccezione – piuttosto “sbrigativo”, diventi più attento e rispettoso delle specificità e dei ritmi della scuola.


 6 novembre 2009
 

Astolfo sulla Luna
 


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