Festeggiamenti
Astolfo sulla Luna, 30.12.2009
Nel giorno in cui il ministro
Tremonti festeggia il “rientro in patria” di 95 miliardi di Euro, è
triste constatare che nemmeno uno di questi Euri tornati dai paradisi
fiscali in questa valle di lacrime sarà verosimilmente speso per
l’istruzione dei nostri giovani.
Da diversi anni ormai l’istruzione
viene infatti considerata un costo e non un investimento, alla faccia
dei tanto sbandierati obiettivi di Lisbona 2000 per una società della
conoscenza; di fronte alla cruda realtà dei numeri in Italia e al
desolante panorama europeo (v. servizio in PD dicembre ’09) verrebbe da
dire che siamo in buona compagnia e che gli obiettivi di Lisbona non
sono altro che una pietosa bugia con la quale la classe dirigente
continentale cerca di abbindolare l’opinione pubblica dei rispettivi
paesi. Eppure la società della conoscenza esiste davvero, ed i paesi
cosiddetti emergenti sanno benissimo che la spesa per l’istruzione dei
loro giovani rappresenta un investimento vitale per le loro economie: il
risultato è che l’industria ad alta tecnologia è sempre più localizzata
fuori del nostro continente.
Nello specifico, dopo una crisi
finanziaria mondiale che continua a creare disoccupazione, fra bilanci
dell’istruzione tutti caratterizzati dal segno meno, la differenza più
vistosa è nell’entità dei tagli fra un paese e l’altro: in questa
graduatoria il nostro paese si caratterizza per i “risparmi” più
elevati, a differenza dei paesi anglosassoni dove i tagli erano già
stati fatti in precedenza, in omaggio ad una concezione meritocratica
della società e classista della cultura più in generale.
È interessante notare a questo
proposito che già da diversi anni negli Stati Uniti e soprattutto nel
Regno Unito si è verificata una “fuga dall’insegnamento”, che ha
costretto i relativi governi a promettere sostanziosi incentivi
economici per invogliare le “menti migliori” ad intraprendere un
mestiere difficile, rivelatosi negli anni anche pericoloso. Per inciso
tale politica scolastica sarebbe del tutto irrazionale in Italia, dove
sembra che il fenomeno della “disoccupazione intellettuale” assorbita da
quella che recentemente Tremonti ha definito ”la pubblica
amministrazione più grande del mondo” sia addirittura in aumento.
Quali le cause di tale fenomeno?
Alcune ipotesi: l’Italia è un paese dualistico, nel quale l’immigrazione
di forza lavoro dal Mezzogiorno al centro-nord è un fenomeno antico, a
cui da tempo si è aggiunta la forza lavoro intellettuale, come per la
scuola sembra indicare la recente vicenda degli “inserimenti a pettine”.
Altra ipotesi: il nostro è un paese con un alto grado di corruzione
politica, che rende difficile lo sviluppo di talenti imprenditoriali, ai
quali l’impiego nella scuola appare come un accettabile second best.
Per inciso, la costituzione di un partito politico, fra finanziamento
pubblico e rimborsi elettorali, rappresenta ormai un’impresa più
redditizia di molti settori “tradizionali”.
Resta, per tornare al fatto di
cronaca, un’amara considerazione che investe probabilmente le radici
profonde di una sottocultura nostrana che spinge all’atavica ricerca del
compromesso a tutti i costi: qualunque sia il giudizio politico sul
cosiddetto scudo fiscale - dal momento che era già stato utilizzato
durante i precedenti governi Berlusconi e che si trattava comunque di
capitali detenuti illegalmente all’estero - sarebbe stato più
conveniente evitare qualsiasi tono “vittorioso” nel presentarne in
conferenza stampa gli introiti complessivi, interpretandoli addirittura
come il segnale della fine dei paradisi fiscali. Non è moralmente un
fatto molto diverso dallo spingere uno studente a copiare i compiti e
falsificare le valutazioni garantendogli che nel suo futuro lavorativo
tale comportamento gli darà comunque un vantaggio. Cambia solo l’ordine
di grandezza.
Astolfo sulla Luna
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