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La scuola al tempo della
Gelmini
Astolfo sulla Luna, 25.6.2008
Volentieri colgo l'invito che - nell'intervista al Corriere della Sera
del 16 giugno us - la neoministra Mariastella Gelmini fa "alle menti più
aperte del nostro panorama intellettuale, imprenditoriale, sindacale e
politico a proporre soluzioni" per la scuola del nostro paese. Riporto
sottolineate le affermazioni del Ministro, commentate ad una ad una.
Superare l’impostazione statalista
della scuola italiana:
A quale modello di scuola statale il Ministro pensa? Quali sono stati da
oltre un secolo a questa parte gli obiettivi dichiarati o impliciti
della pubblica istruzione nel nostro paese? Sicuramente la formazione di
una coscienza nazionale, almeno all’indomani dell’unità d’Italia.
Contemporaneamente la preparazione della cosiddetta classe dirigente.
Poi l’addestramento di forza lavoro più o meno qualificata. Quanto al
primo obiettivo, non mi sembra più una priorità, almeno da quando si
parla di quota regionale dei programmi scolastici. Quanto al secondo, i
licei pubblici che mantengono ancora un prestigio all’altezza del
compito, sono sempre più rari, mentre i “rampolli” dell’aristocrazia si
formano in esclusive scuole private, spesso all’estero. Resta il terzo
obiettivo: ne riparleremo.
Le scuole private non sono
dispensatrici di facili promozioni più di quanto lo siano le scuole
pubbliche:
Premesso che esiste una
questione meridionale anche nella scuola, il problema – di cui pare sia
cosciente anche il Ministro quando dice che “il segmento della
valutazione farà il resto”- è che nel nostro paese non è ancora in
funzione un organismo valutativo della qualità del sistema scolastico
nazionale, nonostante fosse stato previsto dalla l. 62/00 che ha
introdotto la parità fra istituzioni scolastiche statali e private. La
conseguenza è che – oltre alla difficoltà di quantificare e quindi
affrontare quella che ho chiamato la questione meridionale della scuola
– possono tranquillamente continuare a vivere e prosperare quei
diplomifici privati che, per quanto a parere del Ministro sono rari, con
la loro semplice esistenza “gettano l’ombra del sospetto” sull’intera
categoria della scuola privata. Se così stanno le cose, da dove
provengono le resistenze all’introduzione di un sistema di valutazione
delle istituzioni scolastiche? Non esiste forse una sorta di patto
consociativo fra ministero, imprenditoria scolastica privata e sindacati
confederali i quali chiudono un occhio sulle condizioni di sfruttamento
al limite del lavoro nero degli insegnanti delle scuole private in
cambio di una linea morbida nei confronti dei loro iscritti?
Molte famiglie ritengono che il contributo della scuola sia irrilevante
per il successo lavorativo ed economico dei loro figli:
Anche qui è doverosa una
premessa: se – secondo le parole del Ministro – è questa la perdita di
senso della scuola che dobbiamo recuperare, dobbiamo avere chiaro in
mente che l’esclusivo obiettivo dell’istruzione è l’addestramento della
forza lavoro, cioè il terzo fra i modelli di scuola che avevamo indicato
all’inizio. Questo significa che ad esempio l’educazione alla convivenza
civile - ammesso che rimanga un obiettivo della scuola - passa
sicuramente in secondo piano, per non parlare del valore della cultura
in sé…
Per quanto riguarda l’irrilevanza dell'istruzione agli occhi delle
famiglie per il successo economico dei loro figli - stante la
scarsissima mobilità di cui soffre da sempre la società italiana - essa
dipende, caro Ministro, dal tenore di vita della famiglia a cui
appartengono quei figli: se sono i famosi “rampolli”, allora non credo
sia un problema, visto che le rispettive famiglie hanno i mezzi per
farli studiare privatamente, possibilmente all’estero. Se sono invece i
figli della classe media, allora il problema comincia a farsi pesante: è
esattamente questo infatti il target dei mass media, quando danno
risonanza a tutti i possibili mali della scuola italiana, lasciando in
sordina le cose buone che pur vengono fatte. Se infine si parla dei
figli delle cosiddette famiglie disagiate – economicamente e/o per
qualche forma di disabilità - allora la possibilità di dar loro qualche
opportunità non passa certo attraverso la riduzione delle risorse
finanziarie ed umane della scuola: quando infatti si confrontano fra i
vari paesi europei le medie di studenti per docente - a parte un fattore
strutturale di cui si dirà oltre - ci si dimentica sempre dei docenti di
sostegno che rendono possibile un modello di integrazione scolastica
delle persone diversamente abili che tutta Europa ci invidia.
Adeguamento stipendi,
riduzione organici, parametri e produttività europee, impegno ad
assumere i 50 mila docenti precari:
Passando alle promesse
elettorali, diciamo subito che quella riguardante l’assunzione dei
precari è un’eredità del passato, della quale probabilmente il Ministro
avrebbe fatto volentieri a meno (vedi l’intervista di oggi al Corriere:
evidentemente in nemmeno 10 giorni qualcuno ha fatto cambiare idea al
neoministro). Ipotizzando che – secondo un piano già da anni conosciuto
– i precari vengano assunti in base al meccanismo del turnover, la cui
variabile in uscita dipende dalla volontà di altri ministri e dalla
concertazione fra le parti sociali in tema di pensionamenti, la
questione spinosa riguarda la produttività. Il Ministro pensa ad un
impegno lavorativo prolungato e ad “un’esperienza professionale più
qualificata”: il secondo parametro rimanda alla sua proposta di legge
sulla carriera degli insegnanti di cui dirò qualcosa fra breve, il primo
invece è basato su un malinteso: la produttività è un quoziente che si
ottiene dividendo la produzione per il numero di ore lavorate; ora –
augurandoci che non si voglia misurare la produzione di un insegnante
dalla quantità di moduli cartacei che compila nell’ambito delle
famigerate procedure di certificazione della qualità – sicuramente se si
aumentano le ore lavorate, cioè il denominatore del quoziente, la
produttività – a parità di "produzione" – tenderà a diminuire anziché
aumentare.
A questo punto – assumendo i panni del consigliere del re - ho il
suggerimento pronto per il Ministro: si riducano gli organici aumentando
le ore lavorate per insegnante, come la normativa sull’obbligo di
completamento dell’orario alle 18 ore ha già fatto e quella sulla
facoltà di prestare ore curricolari aggiuntive permette. Le norme
esistono già, però la riduzione consistente di organici auspicata dal
Ministro - e contenuta a quanto pare nel Dpef 2009-2011 - per riuscire a
pagare di più alcuni insegnanti, si scontra con un ostacolo che finora
si è dimostrato insormontabile nella secondaria superiore: i quadri
orari molto pesanti, con ad esempio 12-13 discipline al biennio e poco
di meno al triennio degli istituti tecnici (che contano per circa la
metà delle scuole superiori italiane). L’unica via d’uscita sembra
essere la riduzione delle materie insegnate, che si potrebbe fare solo
se si approdasse finalmente ad una riforma complessiva delle superiori,
su cui ci sarebbe troppo da dire.
Non è un caso comunque – aldilà della consistenza numerica del segmento
tecnico – che rispetto al d. lg. 226/95 di applicazione della riforma
Moratti alle superiori, le scuole che sono state cancellate dall’ex
ministro Fioroni sono proprio il liceo economico ed il liceo tecnologico
che, nell’impianto generale della riforma, dovevano sostituire il
segmento “più elevato” dell’istruzione tecnica commerciale ed
industriale, il cui "residuo" - assieme all'istruzione professionale -
avrebbe dovuto transitare armi e bagagli alle regioni. Inutile
sottolineare che alla base della riforma e della sua “controriforma”
stanno due visioni contrapposte dell’istruzione tecnica, una più
“culturale” e l’altra più professionalizzante, anche se - documenti
Confindustriali in testa - non è facile vedere chiaramente di quale di
esse si nutrano l'una o l'altra parte.
Sistema più flessibile di
reclutamento degli insegnanti:
Ho tenuto per ultima la
questione che appare più urgente nell’intervista al Ministro, anche
perché sollecitata dalla boutade dell’economista ultraliberista prof.
Francesco Giavazzi.
A prescindere dall’opinione discutibile del Ministro secondo la quale
nella scuola “non c’è più modo di aggiornarsi e di essere messi in
discussione” - contenente una "sinistra" allusione alla sua proposta di
legge sulla carriera degli insegnanti - la questione del reclutamento
sta in questi termini: proprio per superare le difficoltà nella gestione
dei concorsi nazionali per l’insegnamento – l’ultimo dei quali è stato
svolto nel 2000 – l’ex ministro Berlinguer aveva avviato nel 1999 le
Ssis, consorzi interuniversitari per la formazione di insegnanti delle
superiori. Attualmente esiste quindi un doppio canale di reclutamento a
tempo indeterminato (ex- ruolo): le assunzioni dalle graduatorie non
ancora esaurite dell’ultimo concorso ordinario e/o le assunzioni dalle
graduatorie (ad esaurimento?) degli abilitati ssis. Tali assunzioni
avvengono ovviamente secondo un ordine di priorità determinato dai
risultati degli esami e/o dai cosiddetti titoli.
Il sistema è costoso ed inefficace? Probabilmente sì, però permette –
almeno in teoria – il controllo sui provvedimenti di reclutamento da
parte di tutti i diretti interessati.
È possibile garantire una qualche forma di controllo anche nel sistema (ri)proposto
da Giavazzi e ufficialmente sponsorizzato dal Ministro? Secondo tale
sistema "i presidi possono decidere chi assumere, e anche per quali
materie assumerli. A patto di pagare le conseguenze di un'eventuale
scelta sbagliata." Va premesso che in questo secondo caso il controllo
verrebbe affidato non più ai diretti interessati (i docenti non assunti,
diretti concorrenti di quelli assunti) ma alla categoria degli "utenti"
della scuola, gli studenti e le loro famiglie. Le cose funzionerebbero
così: come ha spiegato recentemente il neoministro della funzione
pubblica, Brunetta, non essendoci un mercato dei servizi pubblici, gli
utenti di questi servizi potranno dire la loro attraverso la cosiddetta
class action, rivolgendosi alle associazioni dei consumatori
riconosciute che - per conto di tutti i potenziali utenti danneggiati -
sporgeranno denuncia contro i dirigenti dei servizi malfunzionanti, i
quali verranno adeguatamente "puniti".
Esemplifichiamo ora il funzionamento di questo meccanismo nella scuola:
Pierino - figlio di un professionista - va male in informatica, inglese
ed economia d'impresa perché è assorbito dal calcio, sua grande
passione. I suoi prof. sono severi ed esigenti, quindi anche circa un
terzo della classe ha problemi in una o più di queste discipline. Quante
probabilità ci sono che, in vista degli scrutini finali, il dirigente
scolastico - temendo una denuncia dei genitori di quei ragazzi - non
abbia gentilmente richiesto ai suddetti insegnanti di adottare una linea
più morbida? Chi lavora nella scuola sa che è bastato il recente
irrigidimento sui debiti scolastici, per scatenare in molti dirigenti il
timore di ricorsi amministrativi contro eventuali bocciature ritenute
ingiustificate. Immaginiamoci quale sarebbe la pressione aggiuntiva su
un povero dirigente se - oltre alle complicazioni di carattere
amministrativo sopraggiunte con l'OM 92/07 sul recupero dei debiti
scolastici - ci fosse la minaccia di non meglio precisate sanzioni. E
comunque, pur ammettendo il sacrificio dei presidi (e dei docenti
"severi"), siamo sicuri che con tale meccanismo la qualità
dell'insegnamento ne trarrebbe vantaggio? Se è vero - come afferma il
Ministro - che l'istruzione non garantisce il successo nella vita, per
quale strano comportamento masochistico gli studenti sarebbero disposti
a studiare con impegno e le famiglie a supportarli nei loro sacrifici?
Si può quindi affermare con sicurezza che la scuola migliorerebbe
affidandone la valutazione esclusivamente ai suoi "utenti"?
Il fatto è, come ben sanno Brunetta, Giavazzi e soci, che per quanto
riguarda il servizio d'istruzione si deve parlare di quasi-mercato, in
quanto le caratteristiche qualitative del "bene" in esso "scambiato"
sono conoscibili dal "consumatore" solo dopo l'"acquisto" e la
"fruizione". Aldilà della mitologia della merce, basta il buon senso per
comprendere che l'istruzione è "qualcosa" di piuttosto delicato,
rispetto alla quale le famiglie "normali" spesso ricevono informazioni
approssimative se non contraddittorie. Infatti al giudizio delle
famiglie, che pur è un buon indicatore del rapporto educativo che
ricorre fra i figli e i loro insegnanti nel corso dell'anno scolastico,
non può essere completamente affidato il meccanismo di selezione del
corpo docente, che deve piuttosto continuare a basarsi su una
valutazione il più possibile oggettiva delle competenze professionali,
sia in entrata che in carriera, secondo parametri precisi, che non
escludono il giudizio delle famiglie, ma non ne fanno certamente il
riferimento principale.
Se così stanno le cose, ci auguriamo che il Ministro - dopo essersi
adeguatamente informata - modifichi la sua azione in questo settore
nevralgico della società italiana, e rifletta se non sia il caso di
ascoltare altri consiglieri politici!
Mestre, 25 giugno '08
Astolfo sulla Luna
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