dalla Luna

 

L'ISTRUZIONE TECNICO-PROFESSIONALE DI NUOVO ALLO STATO
Ovvero come cambiare mezza scuola superiore per decreto

Astolfo sulla Luna,  15/4/2007


Il decreto-legge n. 7 del 31 gennaio 2007, conosciuto come "decreto Bersani-bis sulle privatizzazioni", è stato convertito in legge il 30 marzo scorso, grazie alla fiducia posta dal governo al Senato. Cosa c'entra un decreto sulle privatizzazioni con la "ristatalizzazione" dell'istruzione tecnica e professionale? C'entra eccome, perché - grazie ad emendamenti aggiuntivi presentati il 20 febbraio in Commissione dalla relatrice On.le Alba Sasso - l'art. 13 del d.l. riprende il testo di un disegno di legge di delega al Governo in materia di istruzione tecnico-professionale (notizia del sito Pavone risorse). In altre parole, una materia che era stato delegata da una legge ordinaria approvata dal Parlamento (la famigerata n.53/03, cd. riforma Moratti) al Governo, il quale, dopo interminabili discussioni, aveva emanato i relativi dd.llgs. nn. 76, 77 e 226 del 2005, viene rivista con procedura d'urgenza dal nuovo governo. Annotava Renza Bertuzzi il 16 marzo, in un seminario della Gilda a Roma, che “in maniera a dir poco discutibile, il Centro Sinistra stava tentando di modificare un Decreto legge (ora convertito in legge, n.d.r.), addirittura con i contenuti di un disegno di legge varato il 25 gennaio scorso dal Consiglio dei Ministri”.

Cerchiamo di capire adesso se, aldilà della fretta, almeno il governo abbia lavorato bene: il provvedimento in questione sopprime Liceo Tecnologico ed Economico, ossia gli "ibridi" creati dal d.lgs. 226 per venire incontro alle richieste confindustriali (giudicate a suo tempo positivamente anche dalla Gilda) che vedevano nel passaggio dell'istruzione e formazione professionale alle Regioni (compresi gli attuali tecnici e professionali) il pericolo del sostanziale impoverimento di un segmento di istruzione che ha fatto la fortuna dei nostri distretti industriali. Infatti i Licei Tecnologico ed Economico, invece che essere concepiti esclusivamente per il proseguimento degli studi universitari, come prevedeva la prima bozza di decreto (stilata dal prof. Bertagna, teorico della "pari dignità"), alla fine prevedevano una decina di indirizzi - a seconda delle filiere produttive presenti nei rispettivi bacini di utenza - ammalandosi così, a giudizio dello stesso Bertagna, di "bulimia".
Contestualmente alla soppressione di Liceo Tecnologico ed Economico, la nuova normativa riporta definitivamente allo Stato la competenza "del ramo professionale", ossia inserisce gli attuali Istituti tecnici e professionali nel canale dell'istruzione statale, ribadendo tuttavia il dualismo fra l'istruzione da un lato e la formazione professionale regionale dall'altro. Cosa questo significhi concretamente cerchiamo di capirlo in base ad un'intervista rilasciata dalla viceministra Bastico ad Italia Oggi del 27 marzo u.s.

In primo luogo l’avvio dei nuovi licei – con tutto l’apparato di portfolio, materie opzionali, ecc – viene spostato all’a.s. 2009-10, contestualmente alla rimodulazione del “comparto professionale” come spiegato qui di seguito.

Secondo l'ex assessora all'istruzione emiliana "le scuole tecniche e professionali rilasceranno istituzionalmente diplomi di stato e non qualifiche. E saranno propedeutiche all'università". Inoltre "le scuole superiori potranno concordare con le regioni percorsi comuni per offrire formazione ai fini della qualifica (professionale triennale, attualmente rilasciata anche dagli istituti professionali di stato n.d.r.) … che è il titolo minimo che il ragazzo deve avere a 18 anni."

Traduzione: considerato che l'obbligo scolastico (che forse in ossequio alle ultime mode pedagogiche la viceministra chiama diritto allo studio) è stato portato ai 16 anni dall'ultima finanziaria, i centri di formazione professionale di alcune regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria e Lazio) accreditati dalla riforma Moratti, potranno continuare "sperimentalmente" a far assolvere l'obbligo, consegnando poi in esclusiva la qualifica triennale.

Ciò non toglie che anche l'assolvimento dell'obbligo scolastico negli Istituti tecnici e professionali statale potrà “essere fatto valere nei corsi triennali. Per avere la qualifica dopo il biennio resterà da fare solo un anno (nei centri regionali n.d.r.).” Questo panorama prelude evidentemente – come ci informa la Bertuzzi - ad una stretta collaborazione fra tecnici e professionali statali (che secondo la relazione tecnica di accompagnamento al decreto verranno raggruppati e razionalizzati) e centri di formazione regionali, prevista esplicitamente dal decreto che introduce la possibilità di dar vita (assieme all’istruzione tecnica superiore, ossia parauniversitaria) a Poli territoriali non meglio specificati ma previsti già dal dpr 275/99 sull’autonomia scolastica.

Quanto ai ragazzi che hanno assolto l’obbligo in un liceo, la Bastico considera l’ipotesi “ … residuale. Ma comunque prevederemo dei riconoscimenti sui crediti spendibili ovunque. Anche nella formazione. Ovviamente, spetterà poi ai centri dire se basta un anno oppure se ne serva un altro.” Quale studente abbia in mente la viceministra in questo caso, resta a mio parere abbastanza misterioso. È questa comunque la risposta di “sinistra” al pericolo di canalizzazione precoce di cui era accusata la riforma Moratti? L’aver eliminato i Licei “vocazionali” – come erano stati definiti nel corso del dibattito sulla loro collocazione – dà la netta impressione di una scuola di serie A (i Licei “puri”) e una di serie B (a questo punto tutto il resto). Dobbiamo dar ragione a Bertagna, che dice che nel nostro paese chi studia lo fa per non lavorare, e chi lavora è perché non è riuscito a studiare? E soprattutto, è questa la scuola di un paese avanzato?

La stessa Bastico afferma che “la qualifica professionale è il titolo minimo che il ragazzo deve avere a 18 anni.” Ma se solo i centri professionali regionali sono abilitati a rilasciare questo titolo e attualmente ce ne sono solo nelle 5 regioni ricordate sopra e nelle altre del centro nord, si aprirà una nuova questione meridionale sul fronte della formazione professionale? E che ne sarà dell’obbligo scolastico a 16 anni nelle aree degradate del paese? Tuttavia, nemmeno la riforma Moratti rispondeva in modo soddisfacente a questo problema, che è la vera emergenza italiana.

Per concludere, la “domanda da 100 milioni”: il decreto sulle “privatizzazioni” prevede davvero una “ristatalizzazione” oppure qualcosa di diverso, in cui avremo un mix di sussidiarietà, autonomia scolastica ossia dei dirigenti, neocentralismo regionale e delle famiglie?
 

Astolfo sulla Luna


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