Buona Scuola atto III.
Il ripensamento (solo strumentale)

Anna Maria Bellesia, La Tecnica della Scuola 4.3.2015

Dopo la presentazione di settembre e il reloaded di dicembre, la Buona Scuola è arrivata all’atto III: il consiglio dei ministri del rinvio del 3 marzo. Niente decreto legge d’urgenza.

Non c’erano obiettivamente i requisiti. Come si fa a sostenere che dare attuazione all’autonomia scolastica, contrastare la dispersione, sostenere il diritto allo studio e valorizzare la professionalità docente siano delle necessità straordinarie e urgenti? Se ne parla da 20 anni.

Forse il presidente Mattarella avrà fatto qualche osservazione preventiva. O forse lo stesso Renzi si è reso conto che correndo troppo sulla scuola avrebbe potuto farsi male, come accaduto ad altri prima di lui.

Fatto sta che tutto è rimandato a martedì 10, quando sarà licenziato il disegno di legge dal prossimo consiglio dei ministri. Per adesso ci accontentiamo delle solite linee guida enunciate in conferenza stampa dal premier e dalla Giannini.

Renzi ha ripetuto cose già dette: la riforma della scuola è una scommessa di cambiamento per far crescere il Paese. Ha assicurato che i soldi ci sono (quelli stanziati in finanziaria per il 2015 e per gli anni successivi). I precari stiano sereni, sul piano assunzioni non ci sarà alcun slittamento.

La Giannini si è detta “molto felice”. Poche ore prima era rimasta “basita” per il cambiamento voluto da Renzi che ha detto no al decreto legge già pronto. Disappunto superato con brio.

Oggi, ha detto la ministra, è stato approvato il primo atto concreto dopo la lunga fase di dibattito. I punti dell’intervento legislativo sono ormai definiti nelle linee essenziali: potenziamento dell’organico dell’autonomia; piano assunzionale per la copertura con personale di ruolo di “tutti i posti vacanti e disponibili”; arricchimento degli insegnamenti alle elementari (inglese col metodo Clil, musica, educazione motoria, con personale specializzato); alternanza scuola-lavoro (400 ore negli istituti tecnici e professionali, 200 ore nei percorsi liceali), ed altro di cui sappiamo più o meno i titoli e le intenzioni.

Per i docenti la formazione sarà obbligatoria e il Ministero stabilirà un piano nazionale con le priorità.

La valutazione del docente avverrà sulla base di crediti didattici, formativi e professionali, definiti nell’ambito di un quadro nazionale di riferimento, e sarà fatta da un nucleo di valutazione presieduto dal dirigente scolastico. La progressione economica dipenderà in parte dall’anzianità, in parte dai crediti. L’incremento stipendiale, attribuito in base al merito, si articola in tre fasce stabilite a livello nazionale. Su questi aspetti si apre alla contrattazione, ma dentro limiti ben precisi e poco elastici. E soprattutto a risorse invariate rispetto allo stato attuale bloccato al 2009.

Per la valorizzazione della professione docente non ci sarà un euro in più. Ovvero è confermato quanto emerso fin dalla prima elaborazione della Buona Scuola: le risorse destinate agli scatti finanzieranno anche il merito, nonché gli incrementi stipendiali delle figure di staff e i docenti mentori.

Renzi ha trovato la quadratura del cerchio: il governo si vanta di aver finalmente introdotto valutazione e merito, il Mef non ha niente da ridire perché le risorse quelle sono e quelle restano, la gratificazione economica consiste in una diversa distribuzione del reddito. I docenti lavoreranno spremuti e contenti per tutta la vita.