Che cosa può accadere se i docenti
li sceglie un preside padrone

Nicola Bruni, La Tecnica della Scuola 13.3.2015

Una vera “rivoluzione”, quella della Buona Scuola, annunciata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. O meglio, poiché si tratta di una rivoluzione calata dall’alto e che non parte dal basso, un vero “colpo di Stato”, che potrebbe cambiare drasticamente la vita delle singole scuole, ponendo un solo uomo al comando di ciascuna istituzione: il preside-padrone.

Basta con le interferenze degli organi collegiali, basta con le rappresentanze sindacali: a decidere su tutto, o quasi, sarà il “ghe-pensi-mi” dirigente scolastico, già insediato o da insediare in ogni scuola.

Nei casi in cui - per fortuna o per grazia di Dio - quel dirigente è una persona professionalmente valida e aperta al confronto, la situazione potrebbe anche migliorare. Ma poiché la qualità della categoria dei capi di istituto è quella che molti conoscono, cioè prevalentemente inadeguata a svolgere le funzioni di guida educativa e di imprenditore di una comunità scolastica “autonoma”, non c’è da essere molto ottimisti.

Nella mia lunga “non carriera” di insegnante impegnato nella didattica e di genitore di due studenti partecipe delle riunioni collegiali, ho potuto sperimentare sul campo una trentina di capi di istituto, e posso dire di averne viste “di tutti i colori”: alcuni - meno di un terzo - veramente bravi, molti mediocri, la maggior parte autoritari, alcuni assolutamente incapaci e “da cacciare via”.

Ricordo il caso del preside “Alcolizzato”, che un giorno entrò nella mia classe e strapazzò un ragazzo che teneva le mani sotto il banco insinuando che si stesse masturbando. Il preside “Colonnello”, che durante una riunione del collegio dei docenti interrogò un collega distratto: “Professore, mi ripeta quello che ho detto!”. Il preside “Tomista”, originario di Aquino, che rivelò la sua crassa ignoranza sulla provenienza degli Apostoli dicendo: “Io sono del paese di San Tommaso, se non vedo non credo”. La preside “Arpìa”, appostata ogni mattina all’ingresso della scuola, per aggredire con pubblici rimproveri gli insegnanti ritardatari. Il presidente di commissione di esami “Bocciante”, che pretendeva di farmi abbassare da 6 a 4 il voto in Italiano di uno studente da respingere, ma non ci riuscì nemmeno con la minaccia di far venire un ispettore. La preside “Burocrate”, che nel 1971 mi punì con la qualifica di “valente” (inferiore a “ottimo”) per la mia attività di sindacalista e di leader di un gruppo di insegnanti innovatori, ma poi fu sconfessata dal Provveditore agli studi che accolse un mio documentato ricorso. La preside “Aggiorno”, che - come altri suoi colleghi - ricattava il collegio  dei docenti minacciando di “aggiornare” all’indomani la riunione, se quello non avesse approvato subito le sue proposte; una volta lo fece, e io per protesta non ci andai, ma non poté sanzionarmi perché avrebbe dovuto riconvocare il collegio con almeno cinque giorni di preavviso.

Dunque, che cosa potrebbe succedere, se diventasse legge la proposta del Governo Renzi di attribuire ai capi di istituto “la possibilità di scegliere, dentro un Albo, gli insegnanti che reputano più adatti per il progetto didattico della propria scuola”? Facciamo qualche esempio.

Il preside “Borghezio” potrebbe finalmente coronare il suo sogno di avere un corpo docente integralmente “padano”, privando delle cattedre i “terroni” e le “terrone”.  Il preside “Casaleggio” potrebbe scegliere solo docenti regolarmente iscritti al blog di Grillo. Il preside “Badalamenti” potrebbe dare la precedenza ai raccomandati dagIi “Amici degli amici”. Il preside “Scalfarotto” potrebbe mettere alla porta come “omofobi” i prof che non condividano il programma di insegnamento della teoria del gender  e di istigazione al matrimonio tra persone dello stesso sesso. La preside “Marchionne” potrebbe discriminare come “rompiscatole” i docenti sindacalisti. Il preside “Manager” potrebbe non nominare le donne “a rischio” di congedi per maternità o per malattia dei figli piccoli. Infine, ma non per ultima, la preside “Giannini” potrebbe legittimamente lasciar fuori chi non “remi” nella direzione del progetto renziano della Buona Scuola, perché la libertà di insegnamento di cui parla l’articolo 33 della Costituzione non c’è più.