La pedagogia del Capo Cosimo De Nitto, ReteScuole 13.3.2015 Dal dopoguerra ad oggi c’è stato sempre un acceso dibattito pedagogico, prima ancora che politico, su quale fosse da intendere il perno centrale, l’asse di senso che riassumesse in un significato forte l’idea di scuola. Dalla scuola centrata sul docente, sulle sue capacità trasmissive di conoscenze e saperi, si è passati alla scuola puerocentrica, centrata cioè sullo studente, sulle sue capacità di apprendimento, sulla specificità dei suoi stili cognitivi e dei suoi bisogni. Poi si è passati all’idea che l’elemento centrale della scuola non coincidesse con un soggetto definito ma con la relazione educativa tra i soggetti protagonisti principali che sono appunto docenti e studenti. Allora il centro di senso della scuola è stato individuato nella relazione apprendimento/insegnamento. Ad ogni asse così individuato corrispondeva un’idea di scuola, un’idea pedagogica e persino pratiche didattiche e stile di insegnamento che scaturivano da questo ordine di priorità. Si sono confrontate grandi scuole di diversa ispirazione da quella che pone l’accento sulla valenza sociale ed emancipatrice dell’istruzione e dell’educazione, a quella personalistica cristiana. Spesso queste correnti di pensiero si sono intrecciate in una faticosa mediazione politica e istituzionale concorrendo ai cambiamenti della legislazione scolastica.
Molto della storia della nostra scuola, la sia identità culturale, la sua specificità nei sistemi formativi dell’occidente democratico consiste in questi processi cui hanno dato vita queste grandi correnti di pensiero pedagogico. Con questo disegno di legge, illustrato con linguaggio un po’ cameratesco e po’ da universitari scherzosi e fuoricorso, il governo rottama ciò che fino ad oggi abbiamo pensato come Pedagogia e inaugura una nuova e inedita forma di pensiero di matrice economico-aziendale e gestionale che dà il via alla vera novità, se così si può definire: la pedagogia del Capo. Per 60 anni ci siamo arrovellati la mente alla ricerca del “centro di gravità permanente” intorno al quale far ruotare la scuola affinché avesse senso, affinché questo senso declinasse la lettera e lo spirito della Costituzione in quanto patto sociale fondatore della Nazione e del Popolo italiano. Avevamo la soluzione sotto il naso e non l’abbiamo presa in considerazione. Ci voleva un rottamatore e un semplificatore per questa impresa che spiazzasse tutti con un coup de théâtre. Ed eccola lì la soluzione. La pedagogia del Capo. In questa pedagogia ancien régime e nouveau régime trovano la perfetta sintesi che armonizza pensiero e azione nel principio del comando di una sola persona, quella del dirigente (Capo, boss se qualcuno lo preferisce) ormai “assoluto”, almeno verso il basso, studenti, insegnanti, genitori. Al centro pedagogico della scuola non sono più i docenti (con che faccia di bronzo il governo continui a dire che vuole restituire dignità alla professione docente, non si sa, dal momento che agli insegnanti dedica le parole dolci, ai dirigenti invece riserva tutto il potere reale), e non sono nemmeno gli studenti e i genitori ridotti a utenti e consumatori. L’idea della scuola come comunità educativa semplicemente non esiste più, come non esiste più la libertà costituzionale di insegnamento e persino di pensiero, se si pensa che dal Capo dipenderà l’assunzione, il riconoscimento del merito, la gratificazione, la carriera anche economica di ciascun insegnante. Penso alla difficoltà che avranno le nuove generazioni di docenti quando dovranno preparare i concorsi. I testi di Storia della Pedagogia non serviranno più, sarà difficile infatti andare a cercare in essi qualche grande Maestro che abbia costruito un sistema di pensiero che possa in qualche modo aver dato luogo alla “pedagogia del Capo”. Piuttosto il contrario. Troverà via via sempre più grandi autori che metteranno in relazione proporzionale l’autonomia dell’allievo e la riduzione progressiva dello spazio direttivo dell’insegnante fin quasi a zero. Sarà difficile darsi ragione di questa situazione schizofrenica che si determina tra modelli opposti e conflittuali. Quello del docente verso l’alunno teso a dargli sempre più spazi di libertà e autonomia, quello del Capo verso il docente teso ad annullare ogni forma di autonomia professionale e persino personale. Il problema teorico, ma non solo tale, sarà: come può la libertà derivare da una non-libertà? Non serve nemmeno il panegirico dell’autonomia perché essa non è rapportata alla comunità scolastica, non si parla dell’autonomia di docenti, alunni, genitori nel decidere le sorti della scuola, si parla dell’autonomia del Capo nel decidere da solo tutto, proprio tutto. Miserabili e ipocriti suonano quei “sentiti” riferiti a organi come il Collegio dei docenti che giuridicamente non esiste più, non ha alcun potere decisionale in nessuna materia significativa. L’autonomia è morta evviva l’autonomia! L’autonomia è nata come progetto di grande democrazia dal basso, come atto di fiducia e responsabilità attribuite al mondo della scuola complessivamente inteso nelle sue istanze professionali e sociali. L’autonomia è nata come progetto di crescita sociale, interpretazione e riappropriazione dei propri diritti di cittadinanza, primo tra tutti il diritto allo studio, all’istruzione, all’educazione e alla cultura. L’autonomia è nata come progetto che serve a riavvicinare i contenuti delle scelte educative e la comunità che quelle scelte è chiamata a compiere. All’autonomia delle persone il disegno di legge del governo sostituisce l’autonomia di una sola persona, il Capo che sarà incondizionato e incondizionabile nell’esercitare il suo potere monocratico. E pensare che fino a ieri avevamo discusso della differenza di significato e di ruolo tra il vecchio (così veniva deriso più che definito) “Preside” e il nuovo (così veniva annunciato) Dirigente. Discussione datata ormai e rottamanda anch’essa. Oggi siamo oltre, molto oltre non solo il Preside, ma anche oltre il Dirigente. Oggi siamo al Capo e all’unica pedagogia possibile, quella del Capo, appunto. |