Dalla leadership morale e pedagogica al caporalato

di Raimodo Giunta, 28.3.2015

La figura del Preside/Dirigente è speculare, in genere,alla cultura prevalente nella società e all'idea di scuola e quindi di educazione che si ha in testa. Con una particolare nota di differenza. Dentro la scuola,anche nei peggiori momenti,si è respirato sempre un po' di aria di collaborazione, direi di libertà e di attenzione alle persone,che poteva mancare fuori delle sue mura:Il rapporto tra generazioni presenta sempre questo intreccio di autorità e di autonomia...
La scuola della partecipazione aveva un preside coordinatore, primus inter pares; si è ritenuto che con l'autonomia scolastica si dovesse fare qualche modifica e assegnargli maggiori poteri per rispondere meglio, nelle mutate condizioni dell'organizzazione dell'amministrazione scolastica, alle esigenze della società e in modo particolare a quelle del territorio, dove ogni singola scuola è inserita.
Per compensare e riconoscere il nuovo(?) carico di responsabilità, si è voluto dare (meglio si è richiesto) la dirigenza, sperando in chissà quali salti di categoria e di guadagni. Tra tutti le modalità possibili di autonomia scolastica si è scelta quella comoda e consueta dell'autonomia di tipo amministrativa.
Dopo 15 anni si può dire che questo cambiamento non ha funzionato e non ha dato i frutti sperati per i seguenti motivi:
1) l'appiattimento del ruolo di dirigente verso compiti amministrativi e gestionali, lontano spesso dalla padronanza culturale e professionale della specificità curriculare di un indirizzo di studi (fatto che non si verificava invece quando per dirigere un istituto bisogna avervi fatto esperienza e possedere specifiche competenze professionali)
2) l'aleatorietà delle figure di staff;
3) l'assenza di un sistema di valutazione del servizio scolastico e di ogni tipo di personale.
L'insieme di questi fattori ha determinato in molte scuole un deficit considerevole di natura pedagogica,prevedibile d'altra parte perché sia nelle intenzioni del legislatore,sia nei desideri di una cospicua frangia di presidi si voleva superare la figura del preside uomo di cultura, del preside garante e custode del progetto educativo di istituto,non casualmente trasformato in modo triviale in piano dell'offerta formativa.
Nelle scuole oberate di compiti amministrativi, con presidi in calore per la fregola della dirigenza, assatanati di comunicazione, presi dalla preoccupazione dell'immagine del proprio istituto,elettrizzati dal compito aziendal/manageriale di gestione delle risorse, crucciati dal timore di non portare risultati (quali? come?), in visibilio per l'aumento degli iscritti, inorgogliti per la pluralità e la frequenza dei rapporti istituzionali( è andato a Roma;è andato alla Provincia,se la sta vedendo col Sindaco),sazi a dovere per tutti i PON, i POR, i FESR portati in istituto, chi mai avrebbe dovuto preoccuparsi della qualità pedagogica delle attività didattiche? Che dico: chi mai avrebbe dovuto preoccuparsi della presenza stessa degli insegnanti in classe? Quei poveri sventurati delle funzioni strumentali,sempre più invisi ai propri colleghi?
Il buon senso, qualità in via di sparizione,suggeriva di porre rimedio a questa situazione di slabbramento, alla perdita di unitarietà della vita scolastica,per ritrovare la logica che porta a dare un senso alla presenza di tanti giovani e per tanti anni negli spazi di un istituto. E seppure il lavoro serio di riflessione che c'è stato su questo argomento non sia stato preso in considerazione, anzi sia stato messo sotto i piedi, vale la pena dire anche a futura memoria che cosa sarebbe meglio fare a scuola per affrontare efficacemente i problemi di propria pertinenza.
Il problema vero non era e non è dotare di maggiori poteri il dirigente scolastico ,ma riaffidargli e ricordargli le sue responsabilità di leadership morale e pedagogica nella propria scuola.
L'autorità di un dirigente scolastico non può fondarsi sulla facoltà di scegliere e confermare i docenti della propria scuola, sul potere di assegnare discrezionalmente premi di incentivazione, sul rafforzamento dei poteri disciplinari, sulla sua posizione gerarchica,sulla sua superiorità nei confronti degli organi collegiali, sentiti eventualmente e a malapena sulle materie più importanti della vita di un istituto.
In una comunità educativa che fa propri i valori della democrazia, del dialogo professionale l'autorità del dirigente scolastico si deve fondare sulla competenza e sulla capacità di fare della propria scuola un modello di convivenza collegiale e culturale.
Per ottenere un risultato di così grande respiro si deve essere capaci di fare condividere lo stesso sistema di valori; di fare condividere principi,idee,simboli e tradizioni; di fare condividere,non di imporre, una " visione", una "missione" comune.
Il prestigio di un dirigente non può derivare dalla somma di tutti i suoi poteri  ma dalla diuturna testimonianza della propria coerenza tra principi e prassi,dalla capacità di spiegare e giustificare anche in termini morali le proprie decisioni e di reinterpretare e riaffermare i principi proclamati pubblicamente,se necessario.
Si parla di management delle risorse umane, scimmiottando il mondo aziendale,mentre invece come suggerisce Guglielmo Malizia si dovrebbe capire che a scuola il problema più serio è il management dei significati. Il problema vero è quello di impegnarsi in favore di valori educativi da condividere con tutto il personale della scuola, con gli alunni, con le famiglie, con la comunità di riferimento,per trovare il senso delle cose che si fanno e dello stare insieme, per trovare passione, entusiasmo, motivazioni profonde del proprio mestiere.
Il problema che c'è a scuola è quello di trovare ogni giorno ragioni e significato dell'educare e dell'essere educati.
Chi conosce la fatica del fare scuola sa che non c'è alcun bisogno di padroni, ma di professionisti riflessivi, dotati di scienza, di esperienza e di intuizione creativa. C'è bisogno,proprio in regime di autonomia, di professionisti che integrino valori e culture, non semplici risorse umane; che abbiano strategie motivazionali e che rifuggano dalle promesse e/o dalle minacce di remunerazione finanziaria.
La scuola ha bisogno di collaborazione, non di intimidazione; di dirigenti che facciano degli insegnanti dei leaders educativi,capaci di iniziativa, e non dei docili e impauriti subordinati. La scuola aveva ed ha bisogno di dirigenti  uomini di cultura che sanno governare,e invece ci stanno regalando prepotenti caporali di giornata.