Appello agli intellettuali: di Marina Boscaino, MicroMega 30.3.2015 Sì, è vero. L'altro diceva Romolo e Remolo, faceva le corna durante le foto ufficiali, dava del kapò a Schulz. Recitava barzellette inascoltabili. Ma dalla sua non aveva l'arroganza della subcultura (giovanilismo, semplificazione, modernità) massificante. Quella che ha permesso ad un’ancella dell’attuale premier di dare, impunita, dei “professoroni” a gente cui - se solo si possedesse un barlume di cultura (quella vera ) oltre che di senso della decenza ed un minimo di capacità di autovalutazione - si dovrebbe prima di tutto rispetto. Il berlusconiano new generation, Matteo Renzi, ce la sta mettendo tutta per coprirsi di ridicolo e rendersi imbarazzante. Ma, nell’afasia dell’inerzia di anni, nessuno apre bocca. E così, battuta dopo battuta, esternazione dopo esternazione, selfie dopo selfie, questo inquietante personaggio ipercinetico, logorroico e dotato di un ego ipertrofico spadroneggia e discetta su qualsivoglia argomento. È stato recentemente il turno dei Promessi Sposi. «La penso come Umberto Eco, i Promessi Sposi andrebbero proibiti per legge, perché una volta proibiti diventano affascinanti, e si rivelano essere un capolavoro assoluto». Semplificazione di un concetto ben più complesso, che il nostro tuttologo ha sistematicamente banalizzato, esprimendo un concetto che, se fosse valido, dovrebbe essere esteso a tutti i contenuti di tutte le discipline scolastiche (ed universitarie): essendo obbligatorie, esse perderebbero fascino e seduzione; dunque, proibiamole. Per fortuna sappiamo quanto il mondo reale sia decisamente più complesso di come questo dispenser ambulante di parole in libertà che sta smontando pezzo a pezzo democrazia, diritti, principi, voglia farci credere. Quello che colpisce particolarmente è il silenzio di quanti avrebbero titolo e argomenti per neutralizzare queste scorribande pseudo culturali; ma tacciono - sdegnosi, annoiati, paurosi, snob- alimentando ulteriormente il senso di impunità rispetto alle castronerie a 360 gradi che il nostro continua a sputare con aria da dottorino della Ruota della fortuna. Intellettuali: se ci siete (ma ci siete?) battete un colpo! Questo qui ci sta smontando la democrazia, la scuola, l’informazione: non può essere che la cosa non vi interessi. E non possiamo continuare ad affidare ai “soliti noti” - Rodotà, Settis, Carlassale e giù di lì - la difesa di quei valori per i quali un tempo altri - non voi - si sono battuti; ma dei quali anche voi avete usufruito. Poi arriva un altro, tal Poletti: anche lui non votato, non eletto; anche lui salvatore della patria, di quelli che ti raccontano, con quella falsa cultura popolare, che il nonno del nonno faceva quella tal cosa e la talaltra. Un po’ come la maestra di Renzi, che popola e dà apparente concretezza alle cialtronerie del premier sulla scuola. Alla fine della storia c’è una morale: la favola insegna, come in Esopo e in Fedro. Qui la morale è sempre ai danni dei lavoratori. E’ una morale quasi sempre punitiva, che sottrae diritti, che dice - una storia vecchia come il mondo - che i poveri devono rimanere poveri, i ricchi sempre più ricchi. E’ una morale sterile, che antepone il lavoro (privo di diritti e dignità, demansionato) al tema della cultura disinteressata, non finalizzata. Quella - tra parentesi - che permette ancora a tanti studenti italiani di amare ed appassionarsi ai Promessi Sposi, checché ne pensi il novello Vygotsky (sic!) nostrano. Attendiamo con ansia una rivisitazione (naturalmente solitaria) delle Indicazioni Nazionali (gli ex programmi) in chiave renziana. Nel recente apologo polettiano i protagonisti sono stati i suoi figli, che d’estate sono sempre andati in magazzino a spostare le cassette di frutta. Poletti, dunque, si pone anche - del tutto immodestamente, ma l’assenza di modestia e di cautela devono essere stato un prerequisito per entrare nel Governo - come un modello di educatore. Infatti: ”Un mese di vacanza va bene. Ma non c'è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Serve un più stretto rapporto tra scuola e mondo del lavoro e questa è una discussione che va affrontata, anche dal punto di vista educativo”. Una morale che non riconosce più alla parola formazione il valore di costruzione della cittadinanza consapevole attraverso la cultura, ma solo quella dell’apprendistato di un mestiere. "Ecco, non ci dobbiamo scandalizzare se per un mese durante l'estate i nostri giovani fanno un'esperienza formativa nel mondo del lavoro. Dobbiamo affrontare questa questione culturale ed educativa del rapporto dei ragazzi con il mondo del lavoro, e non spostarlo sempre più avanti”. E perché? E, a parte questo modello muscolare di utile impiego del tempo della vacanza - che perpetua stereotipi e modelli, questi sì davvero vetusti, di mens sana in corpore sano - cosa sarebbe delle povere (e sempre dimenticate) studentesse: anche loro a scaricar cassette? E soprattutto chi è questo Poletti che viene a sindacare sui mesi di vacanze degli studenti italiani, parlando di educazione e di scuola e sconfinando in un campo che potrebbe essere proprio del suo mandato solo ed esclusivamente alla luce della configurazione di un apprendistato precoce per i giovani italiani? Lo sostiene prontamente il ministro meno influente e più zelante del Governo, la neo PD Giannini, che afferma: “è all'esame del Parlamento (…) è già previsto che attività di stage si possano fare anche nei periodi di sospensione dell'attività didattica, estate inclusa”. Appunto. Se qualcuno avesse voglia di leggere cosa è scritto a proposito dell’alternanza scuola-lavoro nel ddl che martedì comincerà il proprio iter parlamentare, si renderebbe conto che la maestra di Renzi e i Promessi Sposi, i figli di Poletti e le loro cassette di frutta fanno parte di un unico progetto: quello di impoverire ulteriormente la scuola, rendendola definitivamente subalterna al mondo di un lavoro precario e precarizzato, sottraendo alla cultura qualsiasi ruolo emancipante. Affermazioni - tutte - che poggiano sull’implicito e il non detto delle ferie dei docenti (i soliti 3 mesi, che in realtà sono - almeno per le scuole superiori - meno di uno e mezzo, ma questo non interessa a nessuno, perché la caccia all’untore, colpevole dei mali del mondo e il “tutto quanto fa spettacolo” sono due must irrinunciabili dei nuovi strateghi). I novelli salvatori della patria omettono - i soliti sbadati - il fatto che fino a pochissimi mesi fa la propaganda di regime parlava di scuole aperte tutto l’anno e per tutto il giorno. Poi hanno fatto due conti e hanno capito che per dar concretezza all’ennesimo annuncio ad effetto la borsa è vuota. E così il tema della lunghezza delle vacanze degli studenti viene brillantemente risolto mandando gli studenti a lavorare precocemente, senza diritti e tutele, invece di pensare, come accade in molti paesi di quell’Europa (che ormai si sarà giustamente stancata di chiederci qualcosa di ragionevole - dal momento che ascoltiamo solo le richieste realizzabili a “costo zero”) ad una scuola aperta, finanziata per fornire un’alternativa valida al nulla in cui molti ragazzi (ovviamente i più svantaggiati) piombano; e alle spese che molte famiglie devono sostenere per tenere i propri bimbi a casa. È così che un “popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori” sta confermando la sua ubicazione naturale: il Paese di Pulcinella. Dove un governo di non eletti, con arroganza, furbizia e dilettantatismo, conditi da slogan, stile mediaticamente persuasivo, sta occupando con arroganza, senza alcun senso della misura e del pudore, tutti gli spazi. Dove l’arma di distrazione di massa del sondaggio e del “like”, di cui i quotidiani sono oggi infarciti rispetto alle incaute esternazione, sedimenta pensiero unico e subcultura; consentendoci di non riflettere sulla dimissione della democrazia parlamentare, della scuola statale, della sanità pubblica. E sull’abolizione della dignità del lavoro, su cui si fonda la nostra Repubblica. |