Scuola: super autonomia o super centralismo? di Cosimo De Nitto, Fuoriregistro 13.1.2015 Ho letto attentamente la riflessione di Lucio Ficara dal titolo "Super autonomia scolastica culla di ipocrisia e arrivismo?" Ahimè credo proprio che le cose stiano così. L'espressione "autonomia scolastica" da quando è stata coniata, da quando è stata pensata, ha visto ridurre e deviare sempre più il suo senso. Doveva essere un processo di liberazione delle energie fondato sul coinvolgimento e protagonismo delle comunità scolastiche. Doveva essere un terreno che favoriva la ricerca e la sperimentazione educativa e didattica elevando la qualità della cosiddetta "offerta formativa" (offerta e domanda sono parole che evocano il mercato non la pedagogia) con il conseguente miglioramento della qualità dell'insegnamento e degli insegnanti sempre meno impiegati esecutivi dello Stato, sempre più professionisti "liberi" dell'educazione. La portata culturale dell'autonomia nel corso degli anni ha progressivamente ceduto terreno ad una deviazione semantica che ha visto sempre più ridotte l'interpretazione, la sfera operativa, la normativa ad un campo esclusivamente, miseramente direi, amministrativo-burocratico-gestionale. Dall'autonomia delle scuole si è passati all'autonomia dei dirigenti e del proprio staff, tanto che si continua a scrivere scuole ma in realtà si legge dirigenti, tanto da legittimare la domanda: forse c'era più autonomia e libertà d'insegnamento quando la scuola era statale e centralizzata? Ora non è più statale ma "pubblica", intendendo con questo attributo il processo di ibridazione cui è stata sottoposta mescolando e considerando sullo stesso piano costituzionale proprietà e gestione statale e privata. E soprattutto non è stato di certo superato il "centralismo" che era stato indicato quale matrice di tutte le negatività. Oggi possiamo affermare che quel centralismo non è stato superato, anzi, mai è stato così portato fino al fondo di tutti gli aspetti che sostanziano la vita delle scuole, dalle scelte contenutistiche, a quelle del curricolo, da quelle gestionali (dirigente manager), a quelle organizzative, da quelle burocratiche, a quelle amministrative, fino a pervadere e condizionare le stesse scelte della didattica, dagli strumenti dell'insegnamento agli strumenti della certificazione (registro elettronico) i quali, lungi dal semplificare e aiutare il lavoro docente ne costituiscono un limite professionale, uno spreco di tempo e intelligenza, e soprattutto un condizionamento e un controllo centralistico sugli aspetti fondamentali (valutazione), ma anche sugli aspetti minuti della professione rendendo vuota di senso l'espressione costituzionale "libertà di insegnamento". La "Buona scuola" di Renzi mette una pietra tombale alla cultura dell'autonomia, portando a compimento quel processo che ci ha fatto assistere ad uno strano fenomeno: più si osannava, totemizzava l'autonomia scolastica a parole, più nei fatti (politiche scolastiche, cambiamenti della normativa, "riforme") si costruiva un nuovo centralismo più feroce, totalizzante, standardizzante, condizionante ogni aspetto anche minimo dell'insegnare e dell'apprendere, dell'essere scuola, del fare educazione. Forse non è esagerato affermare che i primi a tradire l'autonomia oggi sono proprio coloro che, mentre la osannano così imbalsamata in una formula rituale, retorica, si preparano il colpo finale, quello attraverso cui si passa ad un nuovo centralismo, non più quello dello Stato legittimato dalla Costituzione, ma quello del mercato legittimato dagli interessi dei singoli soggetti, i più forti of course.
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