GRUPPO DI FIRENZE

per la scuola del merito e della responsabilità

La responsabilità verso il mondo:
le radici dell'educazione
secondo Hannah Arendt

G.R. dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, 9.1.2015

“I genitori non si limitano a chiamare i figli alla vita facendoli nascere, ma allo stesso tempo li introducono in un mondo. Con l’educazione si assumono la responsabilità nei due ambiti, a livello dell’esistenza e della crescita del bambino e a livello della continuazione del mondo. […] La responsabilità della crescita del bambino è in certo senso contraria al mondo: il bambino deve essere protetto con cure speciali, perché non lo tocchi nessuna delle facoltà distruttive del mondo. Ma anche il mondo deve essere protetto per non essere devastato e distrutto dall’ondata di novità che esplode con ogni nuova generazione”[1].

Anche negli anni ’50 in cui furono scritte queste riflessioni ci voleva la mente libera di Hanna Arendt per ricordarci senza perifrasi e addolcimenti che l’educazione, oggi identificata quasi senza residui con le esigenze di ogni singolo nuovo individuo, serve anche a tutelare il mondo in cui viviamo. Questa capacità di rendere di nuovo evidente la pura e semplice verità ricorda il bambino a cui Andersen fa esclamare che l’imperatore è nudo. Solo che lì gli spettatori vedevano bene che il sovrano non aveva niente addosso anche se temevano di parlare, mentre oggi sembra che la fascinazione esercitata da quel “bene scarso” che sono diventati i bambini, unita all’influenza delle teorie pedagogiche puerocentriche che hanno disorientato gli educatori, faccia sì che l’importanza di crescere degli individui responsabili verso quello che li circonda sia quasi sparita, se non nella teoria, almeno nella pratica.

In altre parole si parla volentieri di legalità, di ambiente, di beni comuni, ma si dimentica che solo un costante allenamento al rispetto delle regole e degli altri può trasformare i piccoli umani naturalmente egocentrici in giovani adulti maturi. Ed è la scuola, aggiunge la Arendt, “l’istituzione che abbiamo inserito tra l’ambiente privato, domestico, e il mondo, con lo scopo di permettere il passaggio dalla famiglia alla società. La frequenza scolastica non è richiesta dalla famiglia, ma dallo Stato, ossia dal mondo pubblico; quindi, rispetto al bambino, la scuola rappresenta il mondo anche senza esserlo di fatto”[2].

Ma quanto l’istituzione scuola abbia difficoltà a sentirsi responsabile nei confronti del “mondo”, o almeno della collettività, lo dice la sparizione della parola “doveri” (e di quanto essa evoca) nella riflessione pedagogica, nelle norme e nelle circolari ministeriali, nelle allocuzioni agli studenti del ministro di turno, nei programmi scolastici, nei temi, nelle prove d’esame e, last but not least, nella stessa formazione iniziale e nei corsi di aggiornamento dei docenti, oltretutto privi, come categoria, di uno straccio di codice etico-deontologico. Per di più, tutti i momenti in cui, come docenti e dirigenti, ci dovremmo ricordare di assolvere a un mandato sociale (e penso soprattutto alla valutazione del profitto e a quella del comportamento) troppo spesso li viviamo come se riguardassero solo noi e l’allievo in questione, quindi con un riflesso di tipo genitoriale che esclude dal nostro campo visivo sia ogni preoccupazione di equità rispetto agli altri allievi, sia l’obbligo di certificare per conto della società gli effettivi livelli di apprendimento, pur tenendo conto dei margini di discrezionalità impliciti nel ruolo.

La scuola, dunque, non può essere soltanto un servizio individuale all’utente, ma, almeno altrettanto, un’istituzione pubblica al servizio della società e del suo futuro. Infatti, “l’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi”[3].


 

[1] Hanna Arendt, La crisi dell’istruzione in Tra passato e futuro, Vallecchi, 1970, p. 202.

[2] Ibidem, p. 204.

[3] Ibidem, p. 213.