Con la pistola puntata alla tempia di Cosimo De Nitto, Educazione & Scuola, 23.1.2015 Condivido il contenuto dell’intervento di Errico Maranzana pubblicato da edscuola, che titola “Valutiamo il sottosegretario del MIUR“. L’intervento coglie la differenza sostanziale tra “controllo” e “valutazione” iscrivendo l’azione e le politiche del governo più nel primo che nella seconda. Per ignoranza? Per superficialità? Anche, direi io, ma soprattutto per scelta consapevole e intenzionale che connota la valenza politico-pedagogico-culturale di questo governo rispetto alla scuola, e non solo alla scuola. Il proposito, o l’annuncio, del sottosegretario che, tramite questionario (ovviamente predisposto dal governo, o dall’Invalsi?) “I ragazzi valuteranno gli insegnanti” qualifica subito la proposta come “tipica tecnica della customer satisfaction, appagamento rilevato per mezzo di questionari compilati dai soggetti destinatari degli output aziendali.” Così Maranzana, e io concordo con la sua opinione. I questionari per rilevare la “soddisfazione del cliente” sono tecniche puramente aziendali tramite le quali si invita il cliente a manifestare il proprio gradimento rispetto ad un prodotto o servizio. Il gioco si svolge così: c’è un “prodotto” o “servizio”, c’è una “azienda” che lo ha fabbricato o prestato, c’è il “cliente” che lo ha acquistato e “consumato” o “fruito”. Attraverso il questionario il “cliente” si dichiara più o meno soddisfatto rispetto alle sue aspettative o ai vantaggi che pensa di aver ricavato. Questo strumento è esportabile in ambito scolastico? Sono confrontabili, identici, se non proprio uguali, i presupposti che rendano significativo ed utilizzabile questo strumento nel contesto scolastico? Assolutamente no, perché: 1) lo studente non è un “cliente”. Il cliente è singolare, lo studente è singolare e plurale allo stesso tempo, opera in un contesto relazionale complesso (la scuola) in cui tutti si è “clienti” e tutti al tempo stesso si è “azienda”, tutti si è soggetti protagonisti e allo stesso tempo destinatari delle dinamiche educative e formative. Il cliente invece è solo, giudica in relazione ai propri gusti e vantaggi personali, non gli è chiesto altro, la finalità è rilevare la sua “soddisfazione” della quale all’azienda non importa assolutamente niente in termini intellettuali, esistenziali, culturali, personali, interessa solo in quanto egli sceglie e acquista il prodotto e contribuisce alla crescita del fatturato. Non interessa all’azienda che il prodotto faccia male o bene al cliente, non interessa la persona, come essa potrà essere in futuro, non interessa che essa si costruisca un progetto di vita, non interessa il ruolo che essa vorrà/potrà avere nella società, non interessa il modo in cui essa potrà interpretare e realizzare la cittadinanza… all’azienda interessa solo che scelga il proprio prodotto e compri. Il “cliente” è solo nel giudizio che deriva dai gusti, interessi, aspettative personali; gli altri clienti non interferiscono, non partecipano del gioco, ognuno gioca per se stesso, non c’è in ballo un interesse collettivo, non esiste proprio la dimensione collettiva e relazionale come parte del gioco. Nella scuola sì invece, questa dimensione esiste ed è determinante; 2) il “prodotto”/”servizio” consumato/fruito in che cosa consisterebbe nella scuola? Prodotto/oggetto possono considerarsi le nozioni apprese? Servizio alla persona potrebbero considerarsi le lezioni svolte dal docente, il modo di comportarsi del docente con quel “cliente” a prescindere dagli altri clienti? Nella scuola la parola “prodotto” e così pure la parola “servizio” sono metafore assolutamente sbagliate. Esse non rendono la specificità delle relazioni educative, al contrario, ne impediscono la piena e consapevole conoscenza e intelligenza. Senza conoscenza e intelligenza delle relazioni educative parlare di valutazione è parlare del nulla; 3) la nozione di “azienda” non può mai essere nemmeno semplicemente accostata alla scuola. Il fine dell’azienda è il fatturato (il fatturato quale sarebbe per la scuola: le promozioni, i 10 dati, le risposte ai quiz invalsi, le iscrizioni, altro?). Il fine del fatturato è il profitto privato che si consegue entro l’anno finanziario. Il “profitto” scolastico, diversamente, è conseguenza della maturazione delle personalità, la crescita culturale, le competenze che si formano sulla base di un lento processo di acquisizione la cui verifica può essere fatta solo a distanza di molto tempo, spesso di anni. La produzione-vendita-consumo di cose, ma anche l’organizzazione-erogazione-fruizione di un servizio direi che sono cosa affatto diversa rispetto a conoscenze, elaborazione mentale e materiale, conoscenza e costruzione del sé, relazione, comunicazione, divergenza, concentrazione, motivazione, educazione, formazione, istruzione, saper imparare ecc.ecc. Sono “cose” e soprattutto processi non confrontabili quantitativamente né qualitativamente. Chiarita l’insostenibilità e la non validità dello strumento questionario degli studenti modello customer satisfaction per le differenze strutturali e per le distanze abissali tra l’un campo (azienda) e l’altro (scuola), andiamo per un momento a vedere nel concreto quale resa può avere in termini di conoscenza dell’operato di un docente. Poniamo caso che in una classe alcuni studenti dicano A (bravo, si comporta bene, si capisce quando spiega, è comprensivo, è competente, è equilibrato nella valutazione ecc ecc.) di un docente, altri dicano B (tutto il contrario di A, non è bravo, non sa spiegare, è rigido, non conosce a fondo la materia ecc. ecc). e tutto quello che si vorrà scrivere sul questionario. Quali indicazioni si potranno mai avere circa le capacità dell’insegnante? Il conflitto di interessi degli studenti è chiaro come il sole. La loro incompetenza contenutistica lo è altrettanto. Alla fine cosa potranno mai dire che non siano impressioni superficiali e soggettive che riguardano solo il loro stato di “soddisfazione” relazionale, condizionato fra l’altro dal loro successo o insuccesso scolastico? Per loro l’insegnante sarà buono o cattivo per il proprio singolo punto di vista e di interesse, non potranno mai spiegarsi perché l’insegnante per gli uni è A e per gli altri è B, a meno che non ricorrano alla simpatia/antipatia personale (al prof, sono antipatico, ce l’ha con me ecc. ecc.) vecchia come il cucco che sta alla vita scolastica come all’autunno la pioggia. I questionari proposti dal sottosegretario Faraone tramite i quali “I ragazzi valuteranno gli insegnanti” sono assolutamente insignificanti e sbagliati. Non solo. Sono da considerare pericolose armi improprie, non convenzionali, capaci di fare danni e ingiustizie non solo nei confronti dei docenti, ma degli stessi studenti che, secondo me, dovrebbero rifiutarle anche se vengono loro imposte. Se la valutazione dei docenti dovrà anche solo in minima parte essere influenzata da siffatti questionari tutta la relazione educativa e la valenza formativa del rapporto insegnamento/apprendimento, docenti/studenti risulterà alterata a causa delle conseguenze che avranno i comportamenti deviati degli uni e degli altri. Siamo sicuri che sarebbe una Buona Scuola quella in cui da un lato prevalgono gli opportunismi, la blandizie, il buonismo interessato, la seduzione, la captatio benevolentiae, l’affascinamento retorico, il paternalismo ecc. e dall’altro lato i ricatti, la presunzione, l’arroganza di un potere privo di competenza, basato sull’ignoranza e sulla meschinità degli interessi personali? Questa scuola vuole dunque il governo? Questa sarebbe la valorizzazione degli insegnanti? Questo sarebbe il loro “merito”, con questi strumenti così obiettivi, pertinenti, scientifici, assoluti sarebbe rilevato? Come siamo caduti in basso, in che mani è finito il governo della scuola.
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