Direzione
didattica di Pavone Canavese
La scuola e i fatti di Parigi: oltre i luoghi comuni
di Aluisi Tosolini, Pavone Risorse 15.1.2015
In questi giorni, dopo gli attacchi terroristici di Parigi, diversi commentatori hanno puntato la loro attenzione sulla scuola. Della serie: come è possibile che i terroristi, cittadini francesi che hanno frequentato la scuola francese (…. ecc.. ecc… e vai di retorica ….) abbiano fatto quello che hanno fatto. Ergo: a) la scuola ha fallito; b) dobbiamo ripartire dalla scuola.
Ragionamenti a caldo – pieni di luoghi comuni e di ignoranza – che si erano già sentiti, ad esempio, in Gran Bretagna per i cittadini inglesi divenuti terroristi ed attentatori.
Sul tema, ieri, è intervenuto anche il mio amico Maurizio Tiriticco con due interessanti pezzi.
Provo così anche io a dire la mia. Andando per punti e sapendo bene che non è certo qui possibile svolgere compiutamente una riflessione che è particolarmente complessa e non si presta ad essere ridotta a pochi… tweet.
1. La crisi del pensiero illuminista
E’ da qui, dall’illuminismo, che bisogna ripartire. L’idea centrale dell’illuminismo è che la luce della ragione è capace di illuminare le tenebre, di far uscire l’umanità dalle tenebre prodotte da pregiudizi, religioni, ignoranza (Kant dirà “dalla minorità” in cui l’umanità stessa si è crogiolata per secoli). Metafora stupenda. Cui si contrappose da subito l’illuminista critico Jean Jacques Rousseau che, in sintesi estrema, sosteneva che tutti i mali dell’uomo derivavano dalla cultura (e quindi dalla scuola che la riproduceva e promuoveva) e che dunque occorreva ripartire dalla natura con il buon Emilio d tener lontano dalla civiltà proprio per tentare un nuovo inizio.
Detto in altro modo: non si tratta certo di prendere per buone le utopie di Rousseau ma…. neppure i sogni e le illusioni semplicistiche degli illuministi. E su questo vedi il punto 2.
Aggiungo solo, qui, che tra le criticità dell’illuminismo va annoverata l’idea che la ragione avrebbe liberato l’umanità dal fardello negativo delle religioni viste solo come illusioni utili a tenere buone le masse. Non è andata così, e non certo solo per motivi storici quanto piuttosto perché tra ragione e fede non è vi un conflitto insanabile come ritenevano gli illuministi e poi molti dopo di loro. Non sempre, insomma, la religione è l’oppio dei popoli.
2. La cultura e l’istruzione sono condizioni necessarie ma non sufficienti
Diceva il grande filosofo Hans Georg Gadamer che il peggiore pregiudizio è sostenere di non aver pregiudizi o di essersi liberati da tutti i pregiudizi. L’illuminismo ha pensato che grazie alla diffusione della cultura e all’uso spassionato della ragione l’umanità si sarebbe liberata da tutti i pregiudizi, dalla violenza, ecc. Anche in questo caso non è andata così. E il motivo è semplice: la diffusione della cultura e quindi l’impegno per l’educazione per tutti sono condizione necessaria ma non sufficiente per il superamento dei pregiudizi. La conoscenza dell’alterità è fondamentale per rispettare, ad esempio, le altre religioni e gli altri vissuti valoriali, ma non è sufficiente. Dal conoscere l’islam o il cristianesimo, i valori fondamentali della democrazia o i diritti umani non discende in modo automatico (tipo A causa necessariamente
B) un comportamento di rispetto della democrazia o dei diritti umani. Magari fosse così !
Ma così non è: e lo dimostra, per essere cattivi, la stessa foto dei grandi della terra che hanno aperto la marcia repubblicana di Parigi l’ 11 gennaio: 20 fra di loro guidano paesi nei quali la libertà di stampa è in serio pericolo e dove i giornalisti sono incarcerati non perché hanno pubblicato vignette di dubbio gusto sull’islam ma …notizie ! Forse che Erdogan (per fare un esempio) non conosce i diritti umani? Basta forse mandarlo a scuola di diritti umani affinché la liberà di stampa approdi in Turchia? Difficile da credere!
3. Le condizioni materiali contano più della cultura
Ciò detto come non condividere la chiusura di uno dei pezzi di Tiriticco: “La responsabilità dell’educazione è grande, ma quella del contesto reale è ancora più grande. E la politica, purtroppo, ha sempre la meglio sull’educazione formale, su quello che si insegna e si apprende sui banchi di scuola. Politique d’abord!”.
Semplifico: puoi avere un’ottima scuola e i migliori docenti e persino apprendere che la cultura ti rende libero e ti permette di comprendere che tutti gli uomini sono uguali e che tutti siamo – ad esempio – cittadini francesi con gli stessi diritti e gli stessi doveri, ma se poi vivi in una squallida banlieu dove i tuoi diritti al lavoro, alla partecipazione civile ecc restano un sogno, apprendi dalla realtà stessa che a volte la cultura serve per alienare. O per gettare il germe per la nascita di rivoluzionari o terroristi.
Seconda conseguenza: è sempre obbligatorio migliorare la scuola ed i processi di apprendimento per tutti ma, in vista di una società inclusiva, democratica e interculturale è altrettanto obbligatorio offrire pari opportunità (di vita, non solo di studio!) a tutti, redistribuire le ricchezze, eliminare la povertà e le disuguaglianze.
Tema cui, guarda caso, è dedicato il libro dell’anno – Il capitale del XXI secolo - pubblicato proprio in Francia da Thomas Piketty e dedicato alla crescita della disuguaglianza e all’aumento della concentrazione della ricchezza in un numero sempre minore di mani.
4. il paradosso della scuola
Chi si interessa da anni di società multiculturale e di transizione verso la dimensione interculturale ha da sempre descritto lucidamente il paradosso della scuola. Una scuola veramente interculturale è una scuola pericolosa perché se forma davvero bene le persone che le sono affidate forma nel contempo persone che comprendono l’assurdo di una società che nega nei fatti ciò che insegna e ciò che ritiene essere il proprio fondamento.
Esemplifichiamo per l’Italia. Se una scuola fa davvero formazione nel campo di “Cittadinanza e Costituzione” non potrà far altro che constatare come la Costituzione giorno dopo giorno sia contraddetta dalla realtà, dalle scelte politiche ed economiche e dalle priorità che quanti sono chiamati a realizzare la Costituzione mettono in campo ogni giorno.
In questo ha ragione l’illuminismo: l’istruzione mette in luce le contraddizioni, le ipocrisie, le falsità, gli errori. Ma l’istruzione da sola non può rimediare e, anzi, come dicevamo sopra, porta con sé il paradosso di allevare dentro di sé i primi critici ed oppositori della società in cui è inserita proprio grazie (a motivo) della diffusione dell’istruzione.
5. Ascoltando Bauman
Zygmunt Bauman è uno che se ne intende di questioni multiculturali. Ieri Il Corriere della Sera ha raccolto una sua stupenda intervista che merita di essere letta e meditata.
Bauman è molto noto per aver coniato il concetto di Modernità Liquida (o società liquida) che è ormai sulle bocche di tutti. Meno citato, invece, l’altro concetto chiave della sua riflessione: scarto.
Rispondendo a una domanda sul romanzo Soumission (Sottomissione) di cui moltissimo si è parlato prima e dopo il 7 gennaio, Bauman dice: «Soumission è la seconda grande distopia di Houellebecq. In questo libro l’islamico Mohammed Ben Abbes vince le elezioni francesi del 2022 testa a testa con Marine Le Pen, una coppia per nulla casuale, profetica se non riusciremo a invertire il corso di una storia che ha tradito le speranze di libertà e uguaglianza riposte nella democrazia. In tutta Europa assistiamo all’ascesa del sentimento antidemocratico, a una secessione di massa dei nuovi plebei che confluiscono verso gli opposti estremi dello spettro
politico, attratti dalle promesse dell’autocrazia. La parola del Profeta diventa così un vessillo dispiegato per chiamare a raccolta gli umiliati, gli emarginati, gli esclusi, affamati di vendetta».
6. sottomessi …. a chi?
L’intervista di Bauman si conclude con il riferimento ad un altro vecchio saggio che sta diventando sempre più l’unica voce critica nonviolenta nella nostra contemporaneità.
Dice Bauman: «Nella sua prima Esortazione Apostolica (la Evangelii Gaudium del 2013, ndr ) papa Francesco ha messo a fuoco la grande sottomissione, la nostra resa a un capitalismo licenzioso, sfrenato, cieco all’umana miseria. Non troverà risposta più profonda ed esaustiva a questa domanda. Il Pontefice ha richiamato quella cultura dello “scarto” che va oltre lo sfruttamento e bandisce intere popolazioni dai progressi del welfare e della tecnica, masse che non sono più semplicemente oppresse o marginalizzate, bensì rimosse dalla
comunità, “fuori” dal corpo sociale. Questo non può essere accettato, a questo dobbiamo opporci».
A questo la scuola e l’istruzione si oppone e si deve opporre. Ma liberiamoci dall’illusione che la scuola e l’istruzione da sole possano riuscire in quest’opera titanica.
Del resto, come insegna la vicenda dell’illuminismo….. , alla rivoluzione culturale fece seguito la rivoluzione politica, sociale ed economica. Con la prorompente entrata in scena del terzo stato. Forse coloro che continuano a pensare che il tutto si può risolvere con la sola cultura e la sola istruzione lo fanno perché non hanno alcuna intenzione di mettere in dubbio i propri privilegi.