Il merito del docente?
Insegnare bene non sempre basta

 Maurizio Tiriticco, ScuolaOggi 27.1.2015

Il ruolo e la funzione di un qualsiasi lavoratore sono strettamente legati al modello organizzativo in cui opera. E’ un principio che ha la sua valenza soprattutto nelle società avanzate e con tale ottica occorre guardare anche al nostro complesso “Sistema educativo di istruzione e formazione”. In effetti, non è corretto oggi parlare di “scuola”, intendendo un edificio in cui si insegna e si apprende: occorre parlare di “istituzione scolastica autonoma”.

La questione non è solo semantica, ma rinvia al profondo rinnovamento che abbiamo avviato alla fine del secolo scorso con il dpr 275/99: l’autonomia scolastica, un processo che aveva le sue origini fin dall’epoca dei “decreti delegati” del ’74, ma che in effetti non è ancora giunto a compimento per una serie di difficoltà che sarebbe interessante enumerare, ma che ci porterebbero lontano dall’assunto di queste note.

Ciò che interessa sottolineare in questa sede è la questione del ruolo e della funzione di un insegnante all’interno di tue tipologie di scuole. Nella scuola della tradizione ruolo e funzione sono legati unicamente alla/e disciplina/e di insegnamento. Tra chi dirige e chi insegna non vi è alcuna soluzione di continuità: il lavoro dell’insegnante si svolge per il totale delle ore di servizio nell’insegnamento in aula. Dagli anni Settanta in poi le modifiche apportate (pensiamo ad esempio alle figure di sistema) sono state indubbiamente importanti, ma il rapporto funzione/ore di insegnamento non ha subito alcuna modifica di rilievo.

Eppure oggi, in una scuola che opera in chiave di apprendimento per tutta la vita, che è uno dei segmenti in cui si “educa”, si “forma” e si “istruisce” (dpr 275/99, art. 1, c. 2) – quindi al di là del tradizionale insegnare/apprendere – le figure degli operatori dovrebbero essere profondamente diversificate. Le esigenze che una scuola di tutti propone non si affrontano e non si risolvono soltanto insegnando discipline tout court.

Un solo esempio: in una scuola in cui la presenza di alunni stranieri si fa sempre più massiccia, le attività di prima socializzazione vanno ben oltre il puro e semplice insegnamento squisitamente disciplinare. In altre parole, non è detto che un insegnante, esperto di materia, debba “spendere” l’intero tempo di lavoro in aula ad insegnare la “sua” materia. Sarebbe invece opportuno che arricchisse la sua professionalità di segmenti “nuovi”, che conducano ad attività di accoglienza, di sostegno, di socializzazione, di orientamento, che prescindono dalla disciplina di competenza.

Valga un secondo esempio: le prove Invalsi sollecitano nelle scuole esperienze valutative innovatrici rispetto ad una certa tradizione, nonché diverse applicazioni metodologiche e docimologiche. E’ necessario che un docente si faccia carico di acquisire competenze in merito, anche e soprattutto per le ricadute che avrà sugli altri docenti. Altrettanto si può dire per altre attività, che non ricadono direttamente sulla cosiddetta “disciplina di competenza”. Ad esempio, sappiamo quanto siano importanti oggi, nella scuola dell’autonomia, attività non curricolari “altre”, sul territorio, sul mondo del lavoro, delle quali occorre avere conoscenza al fine di farne il necessario buon uso. E ancora: sappiamo quanto sia importante l’orientamento degli alunni per quanto riguarda lo snodo tra la scuola media e i gradi successivi di istruzione: orientamento, a cui dovrebbe seguire una diffusa alternanza scuola/lavoro come pratica ricorrente e non eccezionale. Per non dire quanto l’esperienza di un insegnante “anziano” possa contare per “aiutare” i più giovani nel governo dei gruppi alunni, delle dinamiche interpersonali, delle pratiche laboratoriali, della peer education.

Si tratta di una serie di attività di cui alcuni insegnanti potrebbero farsi carico: alcune delle ore contrattuali potrebbero essere spese in aula come di consueto, ma altre in attività di relazione e di aiuto, di cui l’istituzione scolastica autonoma oggi necessita. Il superamento dell’orario di cattedra consentirebbe nei tempi medio lunghi di arricchire l’istituzione scolastica di professionalità via via sempre nuove e sempre più rispondenti alle necessità di un’utenza scolastica sempre diversa e, per certi versi, sempre più problematica. La scuola di un tempo oggi è sempre più un’istituzione aperta a soggetti portatori di problemi sempre più complessi. E’ lo scotto che si paga nelle società sempre più globalizzate.

A mio giudizio, è questa la chiave con cui vanno lette le innovazioni della Buona scuola in materia di funzione docente. E il merito va ricercato non tanto nell’insegnamento disciplinare, di cui fa già testo un concorso vinto, ma in attività di cui abbiamo ad oggi solo sporadici significativi esempi, che però debbono essere implementati e generalizzati. Premi, scatti e tutto ciò che riguarda una gestione intelligente e produttiva del decreto Brunetta possono essere occasione non per dividere gli insegnanti tra buoni e cattivi, ma per incentivare quelle professionalità nuove di cui la scuola in un Paese come il nostro ha estremo bisogno.