A proposito dei fatti di Parigi e della…
irresponsabilità della scuola

di Maurizio Tiriticco,  Educazione & Scuola 11.1.2015

La domanda che in molti ci siamo posti sulla incapacità della scuola di integrare i nuovi nati al mondo della democrazia e della coesistenza di tutte le ideologie e di tutti i credi religiosi, richiede qualche approfondimento. Anche perché – almeno per quanto riguarda il nostro Paese – sono gli stessi dati relativi al nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione” a dirci che la scuola può poco in termini di significativi cambiamenti socioculturali. Si suol dire, ed è vero, che, comunque, “i figli degli operai diventeranno operai e che i figli dei professionisti diventeranno professionisti” e che le eccezioni sono pochissime. Pertanto, la Repubblica ancora non riesce a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” (cos. Art. 3). Nel nostro Paese, la scuola non è ancora oggi in grado di rendere operativo quel precetto costituzionale di oltre 60 anni fa.

Per quanto riguarda gli avvenimenti parigini, è evidente che il Sistema di istruzione francese non è stato in grado di integrare al mondo della democrazia e della coesistenza di tutte le credenze, e le non-credenze, un coesistente numero di cittadini, molti dei quali nati in Francia, ma da famiglie provenienti da altri Paesi.

Insomma, sembra che la scuola possa ben poco a fronte dei condizionamenti socioeconomici, senz’altro più forti e incisivi di ciò che a scuola si insegna e si appende. Vi è una ragione di questo fenomeno che Karl Marx spiega – a mio giudizio – con estrema chiarezza. Nella prefazione a “Per la critica dell’economia politica”, del 1859, leggiamo: “Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza… I cambiamenti nella base economica portano prima o poi alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura. Nello studio di tali trasformazioni è sempre necessario distinguere tra la trasformazione materiale delle condizioni economiche di produzione, che può essere determinata con la precisione propria delle scienze naturali, e le forme legali, politiche, religiose, artistiche o filosofiche – in una parola, ideologiche, in cui l’uomo diviene conscio di questo conflitto e lo combatte.”

Replico: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. L’analisi marxiana, materialistica, ovviamente, capovolge ciò che è in genere del senso comune, e trasmesso da sempre dalle religioni positive e dalle ideologie in genere, secondo cui sarebbe lo spirito che domina la materia. Per Marx in un assetto sociale sono attive la struttura e la sovrastruttura. Sono fattori strutturali tutto ciò che è materiale e le trasformazioni prodotte dal lavoro umano, quindi i concreti rapporti commerciali ed economici. Sono fattori sovrastrutturali le ideologie, i prodotti della cultura, l’arte la filosofia, la religione, la politica stessa… e l’educazione, e la scuola.

Ciò non significa, ovviamente, che non ci sia nulla da fare, che l’educazione e l’istruzione siano impotenti. Anche perché viviamo in un’epoca in cui apprendere per tutta la vita è una condizione prima di sviluppo economico e sociale, quindi anche politico e – se non è una parola grossa – spirituale. Il fatto stesso che, oggi, in forza dell’alto sviluppo delle tecnologie, la distanza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra fare e pensare, si sta sempre più riducendo, forse il dualismo di sempre tra struttura e sovrastruttura si sta anch’esso riducendo. Non è un adagio affermare che sempre più occorre “fare con la testa e pensare con le mani”.

Il che significa che la partita non è perduta, che l’istruzione aperta a tutti, di fatto obbligatoria per tutti, dalla culla alla tomba, come si suol dire, può farcela! A condizione, però, che i governi tutti sappiano investire nella scuola oggi e domani come e quanto si investe in genere nei settori strutturali. Occorre sfidare il pensiero marxiano, pensando che anche la scuola potrebbe diventare un fattore strutturale. A mio vedere, è la sfida delle società avanzate del Terzo millennio!