I docenti vogliono essere valutati. Pasquale Almirante, La Tecnica della Scuola 9.2.2015
La maggioranza dei docenti non disdegna la valutazione. Il responso del nostro sondaggio è chiaro: il 41% è del tutto contrario a ogni forma di valutazione, ma il 59% è d’accordo, benché con modalità diverse. Ma ci sono anche altre azioni che fanno la differenza: l’autoaggiornamento, l’implementazione della didattica, l’uso dei nuovi strumenti, il rapporto con la classe e la gestione dei conflitti, la valutazione, le eventuali pubblicazioni ecc. Ma si parlò pure di un riconoscimento anche per i docenti oberati da altre incombenze come la correzione, la formulazione e il giudizio dei compiti scritti, con la semplice equazione rapportata a tre sole classi di un liceo dove 29 ragazzi, per quattro volte a quadrimestre, devono essere valutati nello scritto e nell’orale, per esempio di italiano o di latino. Chi è bravo in matematica si faccia i conti, ma il tempo da costoro impiegato, se si vuole fare un lavoro di qualità, non è uguale a chi ha materie solo orali. La funzione docente è uguale per tutti, qualcuno dirà, ma il tempo a disposizione per il proprio tempo libero, famiglia o hobby, è diseguale e negarlo non è serio. All’epoca dunque la gran parte dei prof si dichiarò d’accordo alla valutazione che anche l’ex ministra Gelmini volle sperimentare, ma con meccanismi così capziosi, oscuri, bizantini che nessuna scuola si sentì in grado di accettare in prima battuta, tranne poi a coinvolgerne qualcuna i cui esiti però ancora attendiamo. Per quanta riguarda in nostro sondaggio, che ha coinvolto oltre 1500 lettori della Tecnica della Scuola, ciò che si evince è sempre la volontà dei nostri insegnanti ad essere valutati: il 59% è infatti d’accordo contro un 41% che non vuole sentirne parlare. Nel dettaglio abbiamo una maggioranza, pari al 20,3%, favorevole ad essere valutata da un pool di figure scolastiche, come gli ispettori, un organo esterno, gli studenti e persino il dirigente; un oltre 10% (10,6%) dagli ispettori scolastici o da un organismo esterno, a pari percentuale, forse perché costoro sono meno soggetti a interferenze e, provenendo appunto da istituzioni slegate dalla particolare realtà di quella scuola, possono dare giudizi oggettivi. Colpisce poi, ed è persino difficile da credere, che un 8% dei nostri lettori non disdegna il giudizio degli studenti, nella convinzione che i ragazzi, con ogni probabilità, sono ritenuti i giudici più schietti e più leali, fermo restando i loro blitz mercenari se il voto non corrisponde all’idea che si sono fatti dell’interrogazione o del compito. Pochissimi i professori che hanno fiducia nei giudizi del proprio dirigente, appena il 5,3% e che la dice lunga sull’opposto giudizio che i prof hanno a loro volta sui loro presidi. Temono forse che genuflessioni, ruffianerie e altre amenità di questo tipo possano condizionare i suoi giudizi, compresa la richiesta di una percentuale sull’aumento: chissà? Quasi irrilevante infine, meno del 4%, la percentuale di coloro che pensano essere un comitato interno alla scuola in grado di valutare oggettivamente il lavoro dei propri colleghi. Eppure, se eletto democraticamente, conoscendo il valore di ciascun collega, potrebbe essere anche questo un modo.
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