Bulli scatenati. Che fine ha fatto
la “tolleranza zero”?

Anna Maria Bellesia, La Tecnica della Scuola 18.2.2015

Ci vorrebbe un’altra puntata di Presa Diretta che documenti quelle realtà scolastiche dove i baby bulli la fanno da padroni, si comportano da veri delinquenti, ne combinano di tutti i colori, e fanno danni pagati dalla collettività. Realtà dove accoglienza, integrazione, legalità cedono alla rassegnata impotenza di fronte ad una escalation di comportamenti socialmente inaccettabili.

La scuola è diventata lo specchio di una società che non riesce più ad arginare la delinquenza. Basta andare sul sito di un qualsiasi giornale nella sezione cronaca. Quella che la politica nazionale ignora.

Oltre ai problemi del lavoro, dell’aumento delle tasse, della demolizione del welfare, ogni giorno ci sono raffiche di furti, aggressioni violente, a volte feroci, vandalismi gratuiti spesso operati da ragazzini “annoiati”, dipendenti da internet, “fatti” per l’uso di ogni genere di sostanze da sballo, incapaci di distinguere il reale dal virtuale.

Un’altra brutta storia

L’ultimo episodio finito nella cronaca, riguarda un Istituto professionale in provincia di Vicenza. Una banda di ragazzini di 14 e 15 anni, quasi tutti figli di immigrati, è protagonista di continui episodi violenti. Agiscono con arroganza e bestemmie a tutto spiano. Hanno provocato danni ai banchi e ai bagni, sedie distrutte e lanciate dalla finestra, un muro in cartongesso demolito, che è stato ricostruito a spese degli studenti di tutto l´istituto.

E poi le intimidazioni verso il personale: una bidella circondata, spinta, ingiuriata, chiusa in bagno. Ha fatto denuncia ai carabinieri. Li aveva scoperti a farsi una canna, e loro sono arrivati a minacciare di fare del male alla figlia. Contro un professore hanno calciato una sedia. I bulli sono giovanissimi, ma dal fisico sviluppato e dall'aggressività incontenibile. Adesso i carabinieri presidiano la ricreazione e stanno facendo le indagini.

Per gli insegnanti la situazione è difficile, qualcuno sarebbe scoppiato a piangere uscendo dalla classe. Sconforto e impotenza sono i sentimenti prevalenti. I ragazzini, ancora nella fase dell’obbligo di istruzione, se ne approfittano.

“La nostra scuola è uno specchio della società sotto molti aspetti -dice la preside al Giornale locale- purtroppo anche dal punto di vista dei conflitti sociali, che stiamo affrontando però a 360 gradi. Fino ai 16 anni, vige l'obbligo scolastico e fino ai 18 l´obbligo formativo. E la nostra scuola in particolare, che per alcuni rappresenta l´ultima spiaggia prima della dispersione, ha l´obbligo di provarle tutte per fare dei nostri studenti cittadini attivi e responsabili”.

Dalla prevenzione alla repressione, la preside fa l’elenco: iniziative di educazione alla legalità e all'interculturalità, responsabilizzazione degli studenti a cui viene chiesto di firmare un patto per il rispetto delle regole e delle strutture scolastiche, sanzioni disciplinari. Gli stessi docenti fanno formazione specifica per la gestione delle classi più difficili, attraverso degli incontri con una psicologa esperta.

“Alla fine però -conclude la preside- se tutte le strade sono inutili, anche noi dobbiamo ammettere la sconfitta e constatare che forse certi ragazzi non possono stare nella nostra scuola”.

Di storie come questa, se ne vivono ogni giorno. Ma solo quelle più eclatanti finiscono sui giornali. Cosa possono fare i docenti e cosa può fare la scuola quando le ha provate tutte inutilmente?

Nei casi di comportamenti violenti, con ingiurie e minacce, recidiva e nessun ravvedimento, la scuola deve essere in grado di applicare con coerenza e fermezza le misure necessarie, ovvero le sanzioni più gravi previste dallo Statuto degli studenti.

Certo questo non risolve il problema a livello sociale, perché la banda di bulli pericolosi può compiere reati di altro tipo fuori da scuola ed alcuni potrebbero essere risucchiati definitivamente nel giro della criminalità.

Manca una linea politica

Anni fa, all’epoca del ministro Fioroni, il contrasto al bullismo era diventato un’emergenza nazionale. “Tolleranza zero” e “offensiva educativa” erano le parole chiave della strategia adottata per affrontare la situazione. Nel giro di un paio d’anni tutto svaporò.

Oggi l’emergenza è più forte di prima, ma è semplicemente scomparsa dall’agenda di governo.

La politica si gioca nel palazzo o nelle piazze virtuali. La dialettica si alimenta di twitt. Manca il confronto diretto, la percezione del reale. La distanza si fa sempre più marcata.

La “svolta buona” è annunciata solo a parole e la banalità del progetto La Buona Scuola si manifesta anche sotto questo aspetto, checché ne dicano gli entusiasti sponsor politici di turno.

Nelle priorità fissate dal ministro Giannini nell’Atto di indirizzo 2015 si parla tanto di valutazione, digitalizzazione, meritocrazia, mentre bullismo e legalità non figurano neppure fra i 24 punti. È scomparsa perfino la parola Educazione.