Valutazione scuole. RAV:
solo incombenza non retribuita?
Qualche perplessità …

di Katjuscia Pitino, Orizzonte scuola 19.2.2015

La compilazione del RAV dovrebbe rappresentare una grande occasione di interlocuzione tra i diversi attori che si muovono a vario titolo all’interno della comunità scolastica, a patto che l’intento partecipativo e condiviso, non sia assoggettato ad una logica di mero adempimento, per scelte interne all’istituzione scolastica o perché così deciso dall’organo dirigenziale.

 

Alice: Volevo soltanto chiederle che strada devo prendere!Stregatto: Be', tutto dipende da dove vuoi andare!
Alice: Oh veramente importa poco purché io riesca...
Stregatto: Be', allora importa poco che strada prendi!
Alice nel Paese delle meraviglie, Lewis Carroll

Ciò che non convince non è in sé il significato intrinseco al concetto di autovalutazione, strumento indispensabile alle scuole per attivare processi di miglioramento − in questo caso partono avvantaggiate le scuole che nel tempo hanno già applicato meccanismi auto-valutativi e che progressivamente si sono guardate allo specchio, esaminando il loro modus operandi − ma il fatto che il RAV, così come strutturato, possa apparire come un ordinario ammennicolo burocratico, richiesto alle scuole e per certi aspetti rivestire un carattere eminentemente impositivo e di controllo, benché il Regolamento sul SNV affermi che scopo della valutazione è il “miglioramento dell’offerta formativa e degli apprendimenti”, elemento questo sottolineato anche dalla Direttiva n.11 del 2014 tra le priorità strategiche della valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione.

Molti punti sono oscuri e molte cose non sono meglio identificate; per questo è opportuno capire quali siano i presupposti veri e propri del RAV: il coinvolgimento diretto della scuola e dell’intera comunità scolastica già sopra evidenziate, la strada e la direzione intraprese.

Il RAV è difatti l’inizio di una procedura di valutazione che si intersecherà successivamente con la valutazione esterna, altra fase del processo, che sarà svolta dai cosiddetti nuclei di valutazione, indicati nel Regolamento sul SNV, all’art.6, comma 2 e composti da un dirigente tecnico del contingente ispettivo e da due esperti scelti dall’apposito elenco previsto dall’art.3, comma 1, lettera f).

L’autovalutazione deve quindi tenere in debito conto il fatto che i dati e le descrizioni consegnate siano corrispondenti al vero, oggettivi e facilmente provabili, giacché ciò che si produce attraverso il RAV – vedi giudizi richiesti su determinate aree − sarà poi successivamente riesaminato dalle rilevazioni effettuate dai nuclei di valutazione qualora la scuola rientrasse nel contingente previsto (“nel corso del prossimo anno scolastico (…) prenderanno il via le viste alle scuole dei nuclei di valutazione esterna con il coinvolgimento di un primo contingente di circa 800 istituzioni scolastiche” Cfr. Circ.n.47) ; l’art.6 del DPR n.80 del 2013 specifica che le istituzioni scolastiche dovranno ridefinire i piani di miglioramento in base agli esiti dell’analisi effettuata dai nuclei.

Non è nemmeno da prendere sotto gamba che il procedimento di valutazione sia rivolto anche alla valutazione della dirigenza scolastica (Cfr. Direttiva n.11 del 2014) e in effetti, come detto al comma 4 dell’art.6, tutte le azioni previste “sono dirette anche a evidenziare le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall' articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e dal contratto collettivo nazionale di lavoro”.

Pertanto è evidente che il RAV, prima fase del procedimento di valutazione, serva anche a scandagliare certi processi organizzativi e gestionali.

All’interno delle scuole la prima cosa indispensabile, democraticamente parlando, è una conoscenza diffusa dell’obiettivo del RAV e del fatto che esso non sia e non possa essere affare di pochi, perché così interpretato verrebbero già a svilirsi gli intenti partecipativi e collegiali dell’intera comunità scolastica, connaturati al concetto stesso di autovalutazione: dovendo autovalutarsi ci si guarda insieme e reciprocamente per trovare punti di forza e di debolezza e spinte indispensabili al miglioramento.

E’ impensabile dare per dati certi solo le rilevazioni eseguite dall’unità di valutazione perché un esiguo numero di realizzatori del RAV, scelti ad hoc dalla dirigenza, eliminerebbe già ab initio i principi di trasparenza e correttezza insite nel concetto stesso di autovalutazione e a seguire in quello di rendicontazione sociale, compiti questi che spettano al contrario all’intera comunità.

Il RAV per essere tale deve avere una copertura di rete estesa ossia deve poter prendere corpo sia all’interno che all’esterno della scuola, fotografando con gli occhi di molti la complessità dell’organizzazione. Di certo il rapportare come ci si vede esige uno strumento di autoanalisi che sia molteplice ed onnicomprensivo del punto di vista di tutti i soggetti che interagiscono a qualsiasi titolo nella realtà scolastica; il verbo rapportare indica infatti anche un confronto, un paragone, una correlazione, mentre il termine rapporto richiama alla mente il significato più deciso di resoconto, alludendo con ciò quasi ad un velato ordine categorico rivolto alle scuole.

Il RAV introduce un nuovo modello di valutazione delle scuole, secondo un quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI, tuttavia i dispositivi sull’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, sperimentazione e sviluppo, introdotti con l’antesignano Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, DPR n.275 del 1999, avevano già posto le basi per tutto ciò, assegnando alle scuole anche il compito di autovalutarsi.

I principi dell’individuazione dei “criteri per la valutazione dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati (art.4 del regolamento), la promozione e il sostegno dei processi innovativi e il miglioramento dell’offerta formativa (art.5 del regolamento), la ricerca valutativa, l’innovazione metodologica e disciplinare, gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici, l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico (art.6 del regolamento), e altro ancora sono vigenti dal lontano 1999.

Secondo la Circolare più volte citata, la Direttiva n.11 del 18 settembre 2014 intende “completare, dopo quasi quindici anni, il disegno tracciato dal regolamento sull’autonomia scolastica adottato con il DPR n.275 del 1999”. Un lasso di tempo eccessivamente lungo che porta a concludere che forse per quasi quindici anni la valutazione non sia stata una priorità qualificata delle scuole, come se non se ne fosse mai sentito il bisogno. Anzi a ripensarci bene neanche l’art.50 del D.L. n.5 del 2012, convertito nella Legge n.35 del 2012, ultimo intervento sull’attuazione dell’autonomia scolastica, volto a realizzarne un potenziamento, sembra aver fatto un accenno sull’argomento valutazione delle scuole, come necessità di rilanciare un sistema che appare oggi in rotta di collisione con il significato primigenio del concetto stesso di autonomia. Come si legge nella Circolare 47 “l’idea di fondo alla base della Direttiva è quella di favorire, in ogni fase della valutazione e fin dal suo avvio, un coinvolgimento attivo e responsabile delle scuole, fuori da logiche di mero adempimento formale. Un buon processo valutativo, infatti, consente a ciascuna istituzione scolastica di regolare e qualificare il proprio servizio educativo”.

Si può concludere che se in passato la valutazione, all’interno delle scuole, sia stata esperita, essa non sia stata comunque contrassegnata da un’azione sincronica su tutto il territorio nazionale e da un format unico per tutte le scuole, in aggiunta al fatto che questo nuovo procedimento di valutazione ex art.6 del DPR n.80 del 2013, mette in gioco, e la Circolare n.47 lo sottolinea a chiare lettere, anche un aspetto interessante che è quello della comparabilità con altre istituzioni scolastiche.

Partiamo col ritenere che il significato attribuito all’autonomia scolastica, nel corso degli anni abbia avuto sempre un certo vigore normativo: nel senso di responsabilità e rendicontazione dei risultati, di libertà didattica e di autorganizzazione con ogni forma di flessibilità e quindi anche di valutazione e di autovalutazione.

Per queste due ultime fattispecie dell’autonomia scolastica ha fatto da conduttore il dispositivo dell’autonomia organizzativa che allo stato dell’arte è ancora vigente. Tuttavia l’autovalutazione per essere tale presuppone una preparazione prodromica all’azione vera e propria che sia in grado di far capire, secondo un processo metacognitivo, che cosa si è fatto e la direzione intrapresa.

Allora sono importanti anche le esperienze pregresse di autovalutazione agite dalla scuola perché si traducono non solo in conoscenza di sé, ma sono il punto di partenza per il miglioramento in termini di efficacia e di efficienza (autonomisticamente parlando); diventa fondamentale quindi la tempistica dell’autovalutazione che deve essere programmata dalle scuole nei modi ritenuti opportuni, sfoderando anche il pregresso valutativo svolto, riflettendo e ponendo, secondo libere scelte, le basi di azione per assolvere a quanto richiesto dalla normativa sopra richiamata.

Benché la Circolare n.47, ricordi che la valutazione non debba essere intesa come un mero adempimento formale si contraddice però con la tempistica in essa definita; tempi troppo ristretti anche per i processi decisionali interni alle scuole, e proprio in questo pare che l’autonomia scolastica subisca un arresto.

Parimenti per evitare il rischio che l’autovalutazione sia etichettata solo come incombenza, è importante allora la comprensione significativa di dove si andrà, altrimenti tutto poco importa, la scelta del chi fa cosa e come lo fa. Riguardo alla comprensione è opportuno che ogni singola scuola sia posta nella condizione di sapere che cosa sia effettivamente il RAV e a che cosa miri questo nuovo oggetto ‘sconosciuto’ che si chiede di elaborare entro tempi brevi, perché ciò che conta veramente, in ogni processo di autovalutazione è l’avere in mente la destinazione e se tutti lo sanno allora è meglio. Sotto questo semplice aspetto allora il RAV potrebbe rientrare nei tipi della progettazione a ritroso in cui è importante operazionalizzare gli scopi: “identificare i risultati desiderati, determinare evidenze e accettabilità, pianificare esperienze” (Cfr. G.Wiggins e J.McTighe). Tutto ciò sembra utile per dare un senso collegiale all’intera procedura.

L’autonomia è anche questo: un assumersi delle responsabilità, uno scegliere il cosa, il come e il quando. Allora è più che giusto ripetere che il RAV è cosa loro, ‘cosa’ e responsabilità delle scuole, dell’intera comunità che partecipa alla co-struzione scegliendone allo stesso tempo i termini di azione.

Diventa necessaria infatti una partecipazione condivisa da parte di tutti gli attori scolastici, non solo docenti, ma anche di ata, genitori, studenti, i quali dovranno prima di tutto essere sensibilizzati all’autovalutazione come processo funzionale al miglioramento e non volto a classificare le scuole secondo una logica competitiva che avrà, come si prevede in futuro, probabilmente ricadute sulla ripartizione delle risorse ed anche sulla valutazione del personale e sulle retribuzioni individuali. Allora è significativo anche il modo in cui si parte, la preparazione all’azione da svolgere.

Non è superfluo ricordare inoltre che per lo svolgimento dell’intera procedura di autovalutazione non sono previste risorse per incentivare il lavoro di chi si farà carico del RAV e sarebbe impensabile mettere a carico del FIS il pagamento di questo lavoro aggiuntivo.

In ultimo si ricordi che non è solo importante riuscire in questo arduo compito, ma che Alice sia consapevole della strada intrapresa …

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