Italiano L2: una nuova classe di concorso?

Aluisi Tosolini, La Tecnica della Scuola 28.2.2015

Qualche giorno fa (e prontamente La tecnica della scuola ne ha dato notizia) il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha sostenuto, nel corso del seminario "Promuovere e governare l'integrazione", la necessità di istituire la nuova classe di concorso di Italiano Lingua 2.

A prima vista potrebbe apparire un’ottima idea. Qualcuno perfino avrà detto: finalmente!

Personalmente sono in disaccordo. E cercherò di spiegare perché in queste poche righe.

 

1. la via italiana all’intercultura

Nel documento ministeriale del 2007 (La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri. Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale) viene tracciata la storia della dimensione interculturale in Italia, a partire dalla famosissima Circolare 205 del 1990 (dove si scrive: “l’educazione interculturale avvalora il significato di democrazia”).

In particolare il documento del 2007 motiva l’assunzione della dimensione interculturale con le seguenti parole:

“La scuola italiana sceglie di adottare la prospettiva interculturale – ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe. Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione. Prendere coscienza della relatività delle culture, infatti, non significa approdare ad un relativismo assoluto, che postula la neutralità nei loro confronti e ne impedisce, quindi, le relazioni. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi ed impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare i conflitti che ne derivano.

La via italiana all’intercultura unisce alla capacità di conoscere ed apprezzare le differenze la ricerca della coesione sociale, in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni”.

Il documento riassume poi in 10 azioni positive, raccolte attorno 3 macro aree, il percorso delle scuole interculturali.

Le aree si riferiscono alle azioni per l’integrazione, le azioni per l’interazione interculturale, gli attori e le risorse.

La prima macro area (azioni per l’integrazione) comprende le pratiche di accoglienza e di inserimento, nella scuola, l’apprendimento dell’italiano seconda lingua, la valorizzazione, del plurilinguismo, le relazione con le famiglie straniere e l’orientamento.

 

2. Italiano seconda lingua

Riportiamo integralmente la sezione che il documento del 2007 dedica al tema dell’italiano L2. L’acquisizione e l’apprendimento dell’italiano rappresenta una componente essenziale del processo di integrazione: costituiscono la condizione di base per capire ed essere capiti, per partecipare e sentirsi parte della comunità, scolastica e non. L’azione complessiva si articola in due tipi di attività, organizzativa la prima, glottodidattica la seconda.

La fase “organizzativa”, intesa a fronteggiare l’urgenza immediata, mira a:

  • individuare modelli organizzativi (istituzione di Laboratori di Ital2; tempi e durata del laboratorio; personalizzazione del curricolo e adattamento del programma, ecc.);

  • definire i ruoli dei facilitatori linguistici sia esterni (in collaborazione con Enti locali, Associazioni, Centri, Università e loro studenti in tirocinio, iniziative con fondi FSE, e così via); sia interni, attraverso docenti con funzione strumentale e docenti formati nella didattica dell’Ital2;

  • prevedere strumenti di stimolo alla creazione di reti di scuole e di loro finanziamento;

  • elaborare materiali e strumenti (trasmissioni televisive, modelli di test di determinazione dei livelli d’accesso, ecc.) ed erogare risorse da destinare sia alla pubblicazione e diffusione di materiali di riferimento per gli insegnanti sia all’acquisto di materiali di Ital2 per le scuole e gli apprendenti stranieri.

La fase “glottodidattica” prende le mosse contemporaneamente alla prima ma produce risultati in un momento successivo; essa riguarda:

  • la definizione di un modello di competenza comunicativa di italiano di base (ItalBase) e l’individuazione dei problemi dell’italiano per lo studio (ItalStudio), in modo da offrire ai docenti un quadro comune di riferimento;

  • la diffusione di strumenti la definizione dei diversi livelli di competenza di ItalBase che tengano conto del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e del livello di ItalStudio per progettare interventi mirati

  • l’elaborazione e diffusione di modelli operativi sia per le attività in classe sia per quelle in Laboratorio Ital2;

  • la formazione di docenti di riferimento per le singole scuole e la sensibilizzazione di tutti i docenti sui problemi della facilitazione nella comprensione dell’italiano.

Come si può vedere, soprattutto nell’ultimo punto, la scelta è quella di una diffusa formazione dei docenti in ambito L2 evitando di “specializzare” il percorso di apprendimento della lingua2 con il rischio di una delega ghettizzante a docenti esperti, con il conseguente “disinteresse” degli altri docenti.

La creazione di una abilitazione / classe di concorso per Italiano L2 non può infatti che prendere questa china: una volta che il docente abilitato esiste, occorre trovargli gli alunni delegandogli l’apprendimento della lingua 2.

E non va dimenticato che buona parte degli alunni cui potrebbe essere rivolta l’azione di un docente abilitato in Italiano L2 frequenta le scuole primarie. Dove le insegnanti – per definizione – hanno un approccio globale e in molti decenni non siamo riusciti neppure ad avere un gruppo davvero formato di insegnanti di Inglese. Ed anzi, con una normativa che va esattamente nella direzione opposta. E lo stesso accade per le classi di concorso della scuola media e superiore che, seppure in attesa da ben 5/6 anni di una revisione complessiva, paiono essere indirizzate verso la costituzione di macro aree piuttosto che di micro specializzazioni.

In sostanza il modello italiano in sé non prevede la creazione (se non per gruppi e per brevi periodi all’interno di un progetto complessivo) di percorsi differenziati. Altri paesi li prevedono ed esistono ampi studi comparativi che possono essere utilizzati per comprenderne il successo o l’insuccesso.

Cambiare modello si può: quello che invece a  mio parere non si può fare è mischiare i due modelli. Utilizzare il modello sistemico e globale scelto da 30 anni dall’Italia e poi pensare di realizzarne ampie parti con percorsi differenziati.

E che sia così la dice il ministro stesso: "Arriveremo al Consiglio dei ministri al momento opportuno con un testo definitivo che accoglierà la forte richiesta emersa sull'importante tema dell'integrazione dalla consultazione sulla Buona Scuola. Si tratta - ha spiegato il ministro - di un'integrazione linguistica e culturale degli alunni stranieri legata ai diversi contesti, con percorsi didattici differenziati tra alunni nati in Italia e non".

 

3. di chi stiamo parlando?

Ovviamente, come precisa lo stesso ministro, occorre capire di chi stiamo parlando. Di alunni di cittadinanza non italiana nati in Italia o di neo arrivati?. Se si tratta dei primi sfugge il senso di una differenziazione, soprattutto tenendo conto che, come impietosamente segnalano i dati Invalsi e Pisa,  la lingua italiana è sconosciuta a una parte significativa degli studenti (cittadini italiani o no). Se si tratta dei secondi bastano allora le indicazioni del documento del 2007, soprattutto tenendo conto che i neo arrivati in Italia sono sempre meno.

 

4. .... e la cittadinanza?

Sulla sfondo rimane poi un altro tema, anche questo toccato dal ministro. E’ il tema della cittadinanza. Ed è un tema scottante: la scuola forma cittadini attivi e critici ma è del tutto evidente che senza reale cittadinanza i bambini “non cittadini italiani” ma nati, cresciuti, formati ed educati in Italia non potranno mai sentirsi davvero parte della stessa comunità. 

E su questo tema, malgrado le molte proposte, nulla si vede ancora all'orizzonte.