LA PRESENTAZIONE Buona scuola, la riforma in due atti Palazzo Chigi dovrebbe varare entro la fine del mese il decreto legge e il disegno di legge per la riforma della Buona scuola: ma ci sono ancora nodi da sciogliere di Valentina Santarpia, Il Corriere della Sera scuola 23.2.2015 La riforma della Buona scuola Il 27 febbraio 2015 il governo porterà in Consiglio dei ministri un decreto di legge e un disegno di legge delega per delineare la sua riforma della scuola. Due provvedimenti, uno d’urgenza e l’altro per definire i dettagli «minori», che daranno forma concreta alla «Buona scuola» dopo sei mesi. Era il 3 settembre dell’anno scorso quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha infatti presentato ufficialmente il suo libro della «Buona scuola», 126 pagine e 12 punti chiave, attraverso cui riformare la scuola italiana.
Dopo giorni di indiscrezioni e polemiche, la riforma mette sul piatto un investimento massiccio (a partire dai tre miliardi per le assunzioni dei 148 mila precari), una grande consultazione attraverso cui testare le opinioni del mondo della scuola, e una rivoluzione: quella dell’organico funzionale, cioè di docenti a disposizione di reti di scuole pronti a supplire alle esigenze degli istituti, comprese cattedre vacanti, tempo pieno, supplenze.
Pochi giorni dopo, il ministro dell’Istruzione Giannini annuncia una consultazione massiccia, online e attraverso dibattiti nelle scuole, per sollevare il dibattito intorno ai punti chiave della riforma. La consultazione via internet dura due mesi, dal 15 settembre al 15 novembre 2014. E’ lo slogan che il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il premier Renzi sbandierano fin dall’inizio, con il piano di assunzioni che - forte del miliardo stanziato in Legge di stabilità - dovrà eliminare le Graduatorie ad esaurimento (Gae) e immettere in ruolo (cioè dare un posto fisso) a 148 mila precari. La promessa: dal 2016 si entrerà solo per concorso pubblico.
Ma appena i tecnici entrano nel vivo, spunta una serie di nodi: il censimento sui precari delle Gae, per prima cosa, rivela che non tutti sono veramente precari della scuola. Molti di loro - il premier Matteo Renzi sostiene siano 26 mila - non hanno messo piede in un’aula negli ultimi cinque anni, e quindi il governo non intende assumerli, perché punta a dare alla scuola insegnanti esperti e di qualità. Che fine faranno? Resteranno in una graduatoria senza più valore? Oppure perderanno ogni diritto? «tecnicalità» su cui i tecnici stanno lavorando in vista del decreto di venerdì prossimo, un vero rompicapo per i politici che non vogliono rischiare ricorsi e controricorsi. Non è l’unico tema delle assunzioni su cui si sta cercando una soluzione: perché la sentenza della Corte europea di Giustizia di novembre boccia l’abuso dei contratti a termine e sostiene che l’Italia debba assumere a tempo indeterminato tutti quei precari della scuola che abbiano lavorato per più di 36 mesi.
Che vuol dire? Che sostanzialmente dovrebbero rientrare nel piano di assunzioni non solo i precari delle Gae, ma anche quelli delle Graduatorie di istituto, o di seconda fascia, che abbiano un’anzianità di servizio di tre anni. Ma molti di loro non sono vincitori di concorso, e hanno acquisito solo sul campo, come supplenti, il titolo di insegnante. «Stabilizzazione per 250 mila persone», tuona il sindacato dei precari, l’Anief. Il ministro Giannini smorza: «Non cambia niente». Ma il rischio di ricorsi è dietro l’angolo, con centinaia di precari pronti ad appellarsi alla sentenza per essere assunti. Il governo sta studiando una soluzione: i 26 mila posti che lascerebbero vuoti i precari delle Gae che non hanno realmente insegnato potrebbero essere coperti proprio dai precari delle graduatorie di seconda fascia che hanno alle spalle i 36 mesi di anzianità. Tra le novità pensate nella riforma, e che scatenano le maggiori proteste, c’è il cambiamento negli scatti per gli insegnanti: gli aumenti di stipendio non saranno più legati all’anzianità di servizio, ma agli scatti di merito, c’è scritto nel libro di Renzi. Secondo la versione originaria, ogni tre anni i due terzi degli insegnanti avrebbero dovuto ricevere in busta paga sessanta euro netti al mese in più grazie ad una carriera premiata dal lavoro in classe, dalla formazione e dal contributo al miglioramento della scuola.
Una visione a cui si ribellano i sindacati e tutti gli insegnanti: la valutazione va legata al contratto di lavoro, che attualmente è scaduto, e comunque le performance degli insegnanti non possono essere «misurate», contestano. Alla fine il compromesso che sembra entrerà nel decreto in arrivo in Consiglio dei ministri è quello di lasciare gli scatti di anzianità, ma affiancarli, con cadenza triennale, a quelli di merito: sarà il dirigente scolastico, usando i suoi poteri da manager, a distribuire i premi, sulla base dei crediti didattici e formativi acquisiti dai docenti. Ma a sua volta il dirigente dovrà essere valutato, per evitare abusi di potere. Meno infrastrutture e più formazione: è questa la direzione della riforma in arrivo. Archiviato il tempo delle Lim (lavagne multimediali interattive) e dei tablet, il governo punta adesso a formare gli studenti e gli insegnanti nelle competenze digitali.
«La scuola digitale non è la strumentazione, visto che molti studenti hanno telefonini dove sono contenute più informazioni di quante ne avesse un capo di governo negli anni ‘90», ha sottolineato Renzi. Ma è l’educazione, il contenuto: ed è per questo che nel decreto il governo punta sulla formazione dei docenti. Con la speranza che nella prossima stabilità ci siano fondi ad hoc destinati: quelli previsti nella scorsa Finanziaria sono saltati all’ultimo momento. Musica e sport fin dalla scuola primaria, più storia dell’arte nelle scuole secondarie, più inglese per tutti, attraverso il consolidamento del Clil, l’insegnamento di una materia in inglese a partire dalla quarta e quinta elementare. «La cultura del bello deve essere parte dell’educazione scolastica», ha ribadito Luigi Berlinguer il 22 febbraio nell’evento dedicato alla Buona scuola, dove gli ospiti speciali erano i ragazzi della Santa Cecilia Junior Orchestra.
Ed è questo un altro dei punti forti della riforma in arrivo: il potenziamento di alcune materie che hanno finito per diventare Cenerentole delle nostre aule, pur facendo parte delle nostre tradizioni. Sarà dura: solo per riportare la storia dell’arte nel biennio dei licei ci sono voluti 25 milioni. Altre materie che potrebbero essere potenziate per decreto sono l’economia e le materie giuridiche, che dovrebbero essere introdotte in terza e quarta, il coding (le basi per la programmazione informatica), l’educazione civica e l’ecologia. L’obiettivo del governo sarebbe quello di potenziare le materie attraverso gli insegnanti da assumere, proprio per quelle specifiche cattedre. Ma la formazione dei docenti resta cruciale, anche per questo capitolo. Finora passare alcune ore di stage in azienda, ad imparare un mestiere piuttosto che a studiare la teoria, era appannaggio quasi esclusivo degli studenti degli istituti tecnici e professionali. Con la riforma l’alternanza diventerà prassi per tutti gli studenti delle scuole secondarie, compresi i liceali, che sono stat coinvolti in una sperimentazione nel biennio 2014-2016. Il pacchetto di ore che dovrebbe essere varato dal governo è cospicuo: 400 nel triennio delle superiori, con la possibilità di fare stage anche durante l’estate, per non perdere lezioni delle materie tradizionali. E accordi sempre più stretti con il mondo delle aziende, con Confindustria protagonista. Il sistema duale, quello alla tedesca, che è stato studiato dai tecnici del Miur, prevede anche un mini assegno per gli studenti lavoratori, ma in Italia probabilmente la mini busta paga sarà una possibilità valutata dalle aziende caso per caso. In ogni caso, gli stage varranno come crediti formativi per tutti all’esame di Stato.
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