Un decreto d’urgenza Lucio Ficara, La Tecnica della Scuola 17.2.2015 In un Paese normale ci aspetteremmo un decreto d’urgenza contro la corruzione dilagante, ci aspetteremmo un decreto d’urgenza contro il rischio terrorismo, sarebbe etico attendersi una decretazione d’urgenza contro l’evasione fiscale e contro chi gli intestatari dei conti neri svizzeri presenti nella lista Falciani e invece su questo la politica tace e non se ne occupa. Viviamo in un Paese dove troviamo alcuni nostri politici, imprenditori, personaggi sportivi e dello spettacolo, inseriti in una lista, accanto a trafficanti, cassieri delle dittature ed evasori, di correntisti della banca svizzera Hsbc. Da un’inchiesta dell’Espresso risulterebbero oltre 6 miliardi di euro che l’Italia dona alla banca svizzera di cui una parte sottratti al fisco del nostro Paese. Cosa fa il Governo al riguardo? Nulla non fa proprio nulla! In Italia si evade tranquillamente, la corruzione è ai massimi storici, come si è visto in questi anni con gli scandali delle Regioni, del Mose, dell’Expo. E cosa fa il nostro Governo? Un decreto d’urgenza sulla scuola intervenendo sulla carriera dei docenti e sui loro stipendi. Sì avete capito bene un decreto d’urgenza per colpire la classe docente, rea di essere eccessivamente sindacalizzata, fannullona, che lavora poco e perciò è pagata poco. Mentre la Corte dei Conti chiede di intervenire d’urgenza contro la corruzione e l’evasione fiscale vera emergenza italiana, il governo Renzi propone per fine febbraio l’aumento dei carichi di lavoro per gli insegnanti, la valutazione dei docenti e la forte riduzione degli scatti di anzianità. Il metodo del decreto d’urgenza, per fare passare questa riforma della scuola, lascia molto perplessi ed è indicativo di una riforma molto controversa. L’avere tenuto fuori i sindacati da questa partita di giro è significativo di una riforma volta a punire il personale della scuola piuttosto che gratificarlo. In buona sostanza si può senz’altro dire che questo è un decreto legge d’urgenza, fatto per colpire la classe docente. Nessuna concertazione con i sindacati, nemmeno su temi contrattuali come l’orario di servizio dei docenti e il loro stipendio, nessun dibattito parlamentare visto l’utilizzo del decreto legge, nessun parere del CNPI o del CSPI, ma soltanto la decisione unilaterale del governo. Ma cosa ci sarà di così nefasto per i docenti italiani in questo decreto legge, tanto da non riferire nulla nemmeno ai sindacati? Ufficialmente non è dato saperlo, ma la dichiarazione di ieri di Rino di Meglio coordinatore nazionale della Gilda è eloquente: “esiste il totale dissenso ad accettare eventuali modifiche per via legislativa di materie come l'orario di lavoro e la retribuzione dei docenti, che costituiscono oggetto di trattativa sindacale”. Quanto affermato dal sindacalista triestino è molto indicativo di quanto bolle in pentola e si comprende dove sta puntando il governo con questo decreto legge. Senza giri di parole si tratta di una manovra economica sulla scuola che aumenterà i carichi di lavoro degli insegnanti, ridurrà quasi totalmente il fondo d’istituto e i fondi per le supplenze e di fatto ridurrà, pur introducendo gli scatti di competenza, la crescita degli stipendi dei docenti. Così in Italia si continuerà ad evadere il fisco, a speculare in borsa come è accaduto nel caso della riforma delle banche popolari, la corruzione sarà sovrana, ma almeno si colpiscono letalmente i pericolosissimi insegnanti, che con le armi della cultura e della formazione avrebbero potuto rendere normale un Paese destinato inesorabilmente al declino perenne.
Se in un’azienda si decidesse di aumentare la produzione, e per fare ciò, si decidesse di impegnare per un maggiore numero di ore i lavoratori, la conseguenza naturale di questa decisione aziendale sarebbe un incremento del salario adeguato e proporzionato all’aumento dei carichi di lavoro. Questo discorso, lineare e logico, non sembrerebbe valere per la scuola; infatti il Governo punta, con insistenza e una certa dose di sfacciataggine politica, a proporre per gli insegnanti carichi di lavoro aggiuntivi, ma senza prevedere nessun aumento salariale. Paradossalmente si tenta di bloccare, o quanto meno di ridurre drasticamente gli scatti stipendiali legati all’anzianità di servizio, si insinua il dimensionamento salariale complessivo degli insegnanti, ma allo stesso tempo si tenta di disporre l’obbligo per i docenti alla formazione, al recupero delle ore non lavorate per l’interruzione dell’attività didattica o per la chiusura della scuola, e si richiede la disponibilità, in cambio di crediti didattici per la carriera, a svolgere ore aggiuntive per le supplenze dei colleghi assenti e per i corsi di recupero. E questa la chiamano, senza alcun rispetto per i diritti dei lavoratori e senza tenere in alcun conto la reale usura psico-fisica della funzione docente, “La Buona Scuola”. E invece sembra essere un’operazione politica e aziendalistica, fatta sulla pelle degli insegnanti chiamati ad offrire la loro disponibilità culturale e organizzativa per salvare la scuola dal collasso. Ma se i docenti stanno sempre a scuola, per formarsi obbligatoriamente, per svolgere le attività collegiali, per fare corsi di recupero, per incontrare le famiglie, per svolgere attività progettuali, per somministrare e correggere i test Invalsi, quando troveranno il tempo per preparare le loro lezioni, preparare e correggere le verifiche? Forse chi è il responsabile politico della scuola dei partiti di maggioranza, il ministro dell’Istruzione e i vari sottosegretari del Miur, dovrebbero sapere che un docente è mediamente impegnato, nella sua attività per la scuola, almeno 36 ore settimanali e non è possibile pretendere di più. Forse chi pensa il contrario, non conosce bene qual è la dinamica lavorativa di un insegnante, perché della scuola ha solo il ricordo di quando era un semplice studente.
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