L’assalto alle pensioni

Noi pensionati perché non chiediamo al presidente dell’Inps, Tito Boeri, e a quelli che guadagnano oltre i 60 mila euro, di ridursi lo stipendio del 30%?

Francesco Filippini, La Stampa 20.2.2015

ROMA
Tito Boeri, neoeletto presidente dell’Inps propone il taglio pensioni retroattivo del 30 per cento su differenza contributivo-retributivo.   

Tutte le persone che sono andate in pensione con il sistema retributivo, allora in vigore, verrebbero penalizzate con un taglio medio del 10% che diventerebbe del 15%-20% nella fascia da 50.000 a 60.000 euro lordi annui.   

Ovviamente una legge del genere dovrebbe avere una articolazione estremamente complessa per tenere conto dei carichi di famiglia, delle doppie pensioni, una calcolata in modo retributivo ed una in modo contributivo confluite in una pensione unica, dei periodi di contribuzione per chi ha usufruito di leggi che consentivano di andare in pensione dopo 16 anni di lavoro, delle pensioni calcolate con un sistema fino ad una certa data e con l’altro da quella data in poi, dell’aggiornamento retroattivo degli indici di calcolo, delle mancate indicizzazioni totali che dovrebbero essere rintrodotte retroattivamente, della progressività dei prelievi, dei prepensionamenti con accordo tra aziende e lavoratori, etc.   

Da questo punto di vista sembra più ragionata la proposta della Meloni di ricalcolo a partire dai 60.000 euro lordi annui, ritenuti la soglia per non incidere pesantemente nella vita nelle persone e sui consumi.  

Per concludere, perché noi pensionati non mandiamo email o messaggi tramite social networks al presidente del Consiglio Matteo Renzi, all’Inps, ai giornali, ai parlamentari, ai partiti, per chiedere semplicemente che si riducano lo stipendio oltre i sessantamila euro del 30 per cento come soglia minima, a partire da quello del professore Tito Boeri?