IL CASO La Buona Scuola tradita con meno assunzioni Il disegno di legge per rivoluzionare l’insegnamento è partito alla Camera. L’obiettivo è la sua approvazione entro l’estate. Ma negli articoli in discussione niente posti per i precari e compaiono le chiamate dirette dei docenti aggira. di Michele Sasso, L'Espresso 1.4.2015 Dopo un mese di attesa, brusche frenate e capovolte del Governo il disegno di legge sulla Buona scuola arriva in Parlamento. Il viaggio verso il futuro dell’istruzione made in Italy è stato presentato dai ministri Stefania Giannini, Marianna Madia, e Pier Carlo Padoan e si chiama “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Ecco come il ministro Giannini ha presentato la riforma epocale facendo dimenticare il brusco cambio di programma deciso dal premier Renzi che ha abbandonato la scelta del decreto per il disegno di legge: «La lunga gestazione e il parto è stato indolore e molto gioioso. Ha portato molto positivamente a spingere sul principio cardine che è l'autonomia della scuola». Su questo punto il sindacato Cisl esprime i suoi dubbi: viene rafforzata la funzione del dirigente scolastico per garantire l’immediata gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali. Evidentemente per il Governo le cause che avrebbero finora impedito all’autonomia scolastica di esplicitare tutte le sue potenzialità risiederebbero sostanzialmente nella scarsa potestà decisionale dei dirigenti scolastici. «C’è approssimazione e leggerezza nell’approccio ad un tema delicatissimo ma dirimente quale la realizzazione dell’autonomia scolastica- spiega Maurizio Bernava, segretario Cisl con delega alla scuola - Una interpretazione quasi “autarchica” e di autosufficienza che nella figura del dirigente scolastico pretende di individuare l’uomo solo al comando». Con tanti dubbi parte la prima tappa in commissione Cultura della Camera il lungo iter di audizioni di sindacati e associazioni. Dopo Pasqua ci sarà la discussione generale in commissione e presentazione degli emendamenti. Voto in aula a fine aprile e, incrociando le dita sugli intoppi, avvio al Senato ai primi di maggio. Legge pronta solo a giugno, con le aule già chiuse.
A tre mesi dal nuovo anno scolastico servirebbe però un miracolo per mettere in cattedra centomila docenti nuovi al primo settembre, e diventerà più complicato del solito far partire la nuova stagione, mandare a regime l'organico, immaginare l'introduzione delle dodici materie nuove o rinforzate, insomma approvare tutti i punti della legge delega. Tanti i limiti e le troppe storture della bozza di riforma approvato a metà marzo dal Consiglio dei ministri che fanno storcere il naso a professori e sindacati. In cima alle preoccupazioni il piano di assunzioni: se rimarrà così come licenziato dal Governo saranno tantissimi, decine di migliaia, i docenti abilitati, da anni impegnati nell’insegnamento ad essere ancora i grandi esclusi. «Le stabilizzazioni dei precari passano da 148 mila a 100 mila, mentre si addensano nubi scurissime sui tempi e sull’espulsione dal mondo del lavoro di decine di migliaia di precari di seconda e terza fascia che rischiano di non lavorare più – attacca il segretario Flc della Cgil Mimmo Pantaleo - e allo stesso tempo si finanziano le scuole paritarie, tramite un meccanismo che consente detrazioni fiscali del 19% fino a 400 euro, in palese violazione del dettato costituzionale». Perché l’articolo 12 parla chiaro: non potranno più andare dietro la cattedra i docenti precari che hanno lavorato più di 36 mesi. Carta straccia il piano straordinario per assumerne quasi 150 mila (tutti i precari storici e gli idonei dell’ultimo concorso) annunciato più volte dal duo Renzi-Giannini. Rimangono fuori dalle assunzioni e addirittura dalle supplenze tantissimi docenti abilitati, da anni impegnati nell’insegnamento su posti vacanti. E poi l’aggiramento della sentenza della Corte di Giustizia europea che giudicava illegale l’utilizzo reiterato e immotivato dei dipendenti scolastici non di ruolo, chi ha più di tre anni di insegnamento e attende nel limbo lavorativo da anni, chiamata dopo chiamata, classe dopo classe. Una battaglia vinta ma dimenticata per 250mila precari che possono chiedere la stabilizzazione e risarcimenti per due miliardi di euro, oltre agli scatti di anzianità maturati tra il 2002 e il 2012. «Ancora una volta - commenta Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief – si fa scontare al personale precario la mancata organizzazione da parte dell’amministrazione scolastica e del Governo. Sarebbe infatti bastato realizzare un censimento dei posti effettivamente vacanti per accorgersi che circa l’80 per cento di quelli oggi conferiti sono in realtà a tutti gli effetti liberi: quindi utili per le immissioni in ruolo». Rimane poi in piedi il problema dei supplenti chiamati dalle graduatorie d’istituto, che sono abilitati come quelli inseriti nelle graduatorie ad esaurimento.
E poi rimangono fuori dalle assunzioni tutti gli idonei dell’ultimo concorso e i docenti abilitati con i concorsi precedenti. Dai calcoli dell’Anief sono almeno in 70mila a rientrare in una di queste categorie, oltre a 10 mila posti per il personale amministrativo e tecnico. Tra i nodi da sciogliere, che il disegno di legge non solo non risolve ma acuisce, c’è l’assurdità della chiamata diretta. In barba ad ogni regola della pubblica amministrazione il preside si può scegliere i professori che vuole. «L’apice dell’irragionevolezza - continua Pacifico - si raggiunge con la scelta di dare ai dirigenti scolastici la possibilità di attuare la chiamata diretta del personale precario, eludendo le graduatorie. Già la Regione Lombardia, con una legge del 2012 provò lo stesso colpo di mano. Salvo trovarsi davanti la sentenza, un anno e mezzo dopo, della Corte Costituzionale, la quale dichiarò illegittima quella norma locale che consentiva alle scuole di organizzare concorsi e reclutare insegnanti». La sentenza (la numero 76/2013) aveva un relatore d’eccezione: l’allora giudice Sergio Mattarella (e oggi Capo dello Stato), che accolse il ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio. Per i giudici costituzionali la chiamata diretta del personale insegnante è infatti «del tutto eccentrica rispetto all'ordinamento nel suo complesso visto che ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all'articolo 117 della Costituzione». Oggi, passati solo due anni, il Governo riformula quel tentativo maldestro con l’ipotesi degli albi territoriali dove “attingere” i supplenti a livello locale. Una proposta bollata come “inammissibile” da tutti i sindacati: nel pubblico impiego non si può affidare al dirigente la potestà di selezionare il personale sulla base di regole non uniformi, con ogni istituto che decide per conto suo.
Un punto di equità sposato anche dallo stesso Pd solo tre anni fa. Ecco come Francesca Puglisi (oggi senatrice e responsabile scuola dei democratici) prometteva battaglia sulla decisione del Governo Monti: «La chiamata diretta è anticostituzionale. Il Partito Democratico dice “No alla chiamata diretta", perché se vogliamo costruire un paese unito, lo dobbiamo fare a partire dalla scuola». Passati tre anni e passati dall’opposizione al Governo ora tocca adeguarsi alle decisioni del premier Matteo Renzi e rimangiarsi le parole spese. |