L’audizione di Tuttoscuola in Parlamento/1

 Tuttoscuola, 8.4.2015

E’ proseguito per tutta la giornata di martedì il programma di audizioni promosse dalle Commissioni congiunte Cultura e Istruzione della Camera e del Senato.

In serata si sono succedute le comunicazioni dell’Opera Montessori (Benedetto Scoppola), della Fondazione Giovanni Agnelli (Andrea Gavosto), dell’Isfol (Emmanuele Crispolti) e di Tuttoscuola, il cui contributo è stato presentato dal direttore della rivista Giovanni Vinciguerra.

Ne riportiamo qui di seguito il paragrafo introduttivo (‘Commento generale’), dando appuntamento ai lettori per la presentazione in successione dei diversi punti toccati nel documento:

1) Il contributo dei privati al funzionamento delle scuole

2) Proposte di soluzione per chi ha già 36 mesi di servizio

3) Il sovraffollamento delle classi non si cancella con le sole risorse dell’autonomia

4) Estensibilità di norme al sistema paritario

5) Dispersione, un tema da approfondire in una delega?


COMMENTO GENERALE

Il DDL sulla "Buona Scuola" presenta le caratteristiche di una riforma strutturata e di ampio respiro, soprattutto sul versante organizzativo, di cui oggi nel nostro Paese si avverte l’urgenza. 

Propone un cambio di prospettiva assai rilevante, e ha il merito di smuovere le acque della scuola italiana, stagnanti da decenni.

Di particolare interesse è il Capo II del DDL, dedicato all’ampliamento dell’autonomia scolastica ed alla valorizzazione dell’offerta formativa.

Negli interventi di riordino del sistema di istruzione degli ultimi lustri ha prevalso l’obiettivo della cosiddetta "ottimizzazione" delle risorse, che ha imposto una cura dimagrante forse inevitabile, almeno considerando la crisi economica che ha attraversato il nostro Paese.

Viceversa la definizione di un piano triennale dell’offerta formativa appare funzionale all’attuazione di un progetto complessivo mirato alla qualificazione dell’offerta didattica e socio-pedagogica ed al conseguente innalzamento qualitativo dei livelli di istruzione e di formazione.

E’ apprezzabile che la definizione dei fabbisogni parta dal basso, secondo un approccio “bottom-up” che vede la singola scuola come una cellula autonoma, vitale e attiva, del corpo elefantiaco del sistema formativo, fino ad oggi guidato sostanzialmente dalle stanze di viale Trastevere.

Offrire una vera autonomia alle scuole è fondamentale, ed è un grande merito di questo progetto. Si compie oggi un passo che si sarebbe dovuto fare quindici anni fa.

Tuttavia non si può pensare che le scuole, in quanto autonome, risolvano tutti i problemi del sistema di istruzione. Servono politiche nazionali, la cabina di regia centrale deve fornire indirizzi chiari, fissare obiettivi precisi e raggiungibili, e successivamente misurare e valutare i risultati, controllando il buon funzionamento. Insomma, più autonomia, maggiori controlli e pubblica rendicontazione. Per molti versi l’opposto del sistema attuale, fortemente ingessato ma con pochi veri controlli (basti pensare che il corpo ispettivo ha raggiunto i minimi termini, con un ispettore ogni 2.076 scuole in qualche regione, e le potenzialità dell’azione dell’Invalsi sono state in buona misura frenate e sottoposte a limiti).

Interessante appare nel disegno di legge la sottolineatura della necessità di attivare ogni collaborazione e sinergia possibile tra Scuola, Territorio e Lavoro, tale da implementare l’attuale sistema di alternanza scuola-lavoro che necessita di una sostanziale riorganizzazione e di un deciso rilancio. Tuttavia occorrerebbe definire con maggiore puntualità le risorse finanziarie e strumentali necessarie per  la concretizzazione delle esperienze.

Parimenti occorrerebbe uscire dalle enunciazioni di principio relative all’innovazione digitale e metodologico-didattica con l’indicazione di una priorità di finanziamento per l’aggiornamento in servizio del personale dirigente, docente ed ata.

Si intravedono anche alcuni rischi nell’impostazione del progetto, che ci pare costruttivo evidenziare.

Viene proposto uno straordinario aumento quantitativo delle conoscenze e competenze che si chiede agli studenti - a tutti gli studenti - di acquisire. Non ne farò qui l’elenco, basta leggere il lungo comma 3 dell’art. 2, a cui vanno aggiunti gli ulteriori insegnamenti opzionali di cui all’art. 3, c. 1.

Il rilevante aumento degli obiettivi di apprendimento (curriculum density), ci ha indotti ad osservare che per far fronte all’insieme di “potenziamenti” e di nuovi insegnamenti servirebbero molte più ore di lezione, e/o una utilizzazione superintensiva dell’orario attuale (per farvi rientrare anche le materie nuove). 

Come la mettiamo con i tanti studenti che già oggi abbandonano la scuola secondaria superiore, perché non riescono a seguirne i ritmi e ad assorbirne la quantità di nozioni?

Insomma, per personalizzare i piani di studio sembra che si preferisca appesantirli aggiungendo insegnamenti opzionali anziché alleggerirli rendendo opzionali uno o più insegnamenti dei tanti (troppi) previsti nella scuola italiana.

Il rischio che vorremmo sottoporre al dibattito parlamentare è quello di preferire l’enciclopedismo, le ‘teste ben piene’, per dirla con Montaigne e Morin, alle ‘teste ben fatte’. Potrebbe essere un errore strategico.

Un’altra riflessione critica che vogliamo proporre riguarda l’orizzonte strategico della riforma, la sua capacità di innovare guardando al futuro.

Se dal punto di vista strutturale e organizzativo il Ddl presenta numerose novità non altrettanto si può dire a nostro avviso della sua dimensione culturale e valoriale, della ‘filosofia’ che la ispira.

Da questo punto di vista ci sembra che la riforma si limita a “potenziare” e integrare l’esistente col rischio, già evidenziato, di overdose curricolare.

A nostro avviso i contenuti tradizionali, organizzati in piani di studio tradizionali, attuale oggetto principale se non esclusivo dell’insegnamento, sono destinati ad essere rimessi in discussione in breve tempo perché la multimedialità, la connettività e la crescente rapidità e facilità di accesso ai contenuti fa cadere le tradizionali barriere tra le diverse discipline e favorisce l’apprendimento per oggetti inter-disciplinari. A questo orizzonte di profondo cambiamento dovrebbe guardare la ‘Buona Scuola’, che nella sua attuale versione appare invece ferma a contenuti e partizioni disciplinari che guardano più al passato che al futuro.