La nuova scuola targata Renzi
L’assunzione
ope legis di 150mila precari è forse il prezzo che il Governo ha
dovuto pagare per introdurre importanti novità nel mondo della
scuola. Come gli aumenti retributivi legati al merito individuale
dei docenti. Resta però da capire quale sarà la reale autonomia
degli istituti
Andrea Ichino,
La Voce.info 5.9.2014
SERVIVA ASSUMERE ALTRI INSEGNANTI?
Per il governo Renzi la
riforma della scuola sembra essere in primo luogo
un problema di politica del lavoro: ossia
stabilizzare 150mila precari, tra i quali, sia chiaro, non ci sono
solo persone che hanno vinto concorsi e selezioni competitive, ma
anche altre il cui unico merito è di aver atteso per anni nelle
graduatorie a esaurimento senza alcuna valutazione della loro reale
capacità di insegnare bene. Gli interessi degli studenti vengono
dopo, solo nei capitoli successivi della proposta.
Stando a quanto scrive l’Ocse (ed è un peccato che il documento
governativo, per altro molto ben scritto e documentato, non dica
nulla su queste stime), la scuola italiana non aveva bisogno
di nuovi docenti, soprattutto se assunti senza guardare alla loro
qualità. La tabella 1 mostra che nell’anno 1999-2000 il
numero di studenti per insegnante in Italia era inferiore rispetto
ad altri paesi comparabili e, anche dopo i tagli dei governi
recenti, nel 2009-2010 continua a essere in linea con la media Ocse
per la scuola materna e inferiore per la primaria e la secondaria.
Rispetto alle medie Ocse, sono anche di più le ore di insegnamento
obbligatorio per studente (vedi pannello inferiore della tabella 1).
Più in generale, la spesa in istruzione per studente
è stata in Italia più alta che in altri paesi comparabili (vedi il
pannello superiore di sinistra della tabella 2 e la figura 1a). Solo
negli ultimi anni, a causa dei malaugurati tagli lineari del Governo
Berlusconi, questa spesa è diminuita fino a essere in linea con gli
standard internazionali (vedi il pannello superiore di destra della
tabella 2 e la figura 1b). Ma anche se la spesa è in linea con
quanto accade all’estero, la performance della scuola italiana
misurata dagli indicatori di apprendimento degli studenti non è
soddisfacente.
È vero, come molti lamentano, che la spesa in istruzione è bassa
rispetto al prodotto interno lordo (vedi i pannelli inferiori della
tabella 2). Il motivo della differenza rispetto alla spesa per
studente, tuttavia, è essenzialmente demografico, come illustrato
dalla comparazione tra i trend di fertilità nella tabella 3: nei
paesi in cui nascono pochi bambini, anche se una frazione inferiore
delle risorse è devoluta alla scuola, la spesa per studente può
rimanere alta. D’altro canto, è proprio la spesa per studente (non
la spesa in proporzione al Pil) l’indicatore rilevante per giudicare
se stiamo spendendo abbastanza per la scuola. E i dati ci dicono che
non spendiamo meno degli altri: il vero problema è che
spendiamo male; e che gli insegnanti sono tanti, ma male
assortiti, generando quindi l’impressione che siano pochi perché
mancano dove servono e nessuno parla di quelli in eccesso dove non
servono. (1)
La politica è l’arte del possibile, però, e forse le
150mila assunzioni (quasi il 15 per cento dello stock di insegnanti
in Italia, che rischia di bloccare nuovi ingressi per molti anni a
venire) sono il prezzo che Renzi ha dovuto pagare
alle forze conservatrici nella scuola (tra l’altro un bagaglio
significativo di voti: circa un milione) per introdurre alcune
importanti novità che speriamo non rimangano solo annunci sulla
carta.
GLI SCATTI PER MERITO
La prima novità è
l’abolizione degli scatti di anzianità sostituiti da aumenti
retributivi legati al merito individuale dei docenti. È una
misura ancor più necessaria per neutralizzare le conseguenze della
stabilizzazione ope legis dei precari non assunti per merito. Come
la teoria economica insegna, quanto più efficace è la selezione in
ingresso degli insegnanti, tanto meno necessaria è l’adozione di
politiche retributive e carriere incentivanti, sempre complicate da
disegnare soprattutto per lavoratori il cui prodotto e i cui compiti
sono complessi e difficili da misurare. Il successo della riforma
Renzi dipenderà in modo cruciale da come saranno concretamente
definiti e misurati i crediti didattici, formativi e professionali
su cui si baseranno gli scatti retributivi destinati ai due terzi
migliori dei docenti in ogni scuola.
Stupisce a questo proposito che il documento governativo non faccia
alcuna menzione della valutazione reputazionale dei docenti,
definita come convergenza dei giudizi dati da colleghi, studenti e
famiglie, così come ad esempio studiata nella sperimentazione
ministeriale “Valorizza”. (2)
Quanto alla scelta di riservare i premi solo ai due
terzi migliori dei docenti di una scuola, è una soluzione
con vantaggi e svantaggi (come tutte le altre in questo campo), ma i
primi probabilmente superano i secondi. Il rischio maggiore è di
punire bravi insegnanti che però non rientrino nei migliori due
terzi nelle scuole in cui la qualità media dei docenti sia molto
alta, mentre sarebbero premiati insegnanti peggiori in scuole con
qualità media inferiore. È interessante l’argomento secondo cui
questo meccanismo potrebbe favorire una mobilità positiva
tra scuole, inducendo insegnanti bravi ma non ottimi in una
scuola, a spostarsi dove invece, data la peggiore qualità dei
colleghi, potrebbero essere premiati. È comunque auspicabile che il
meccanismo sia combinato con maggiori risorse alle scuole migliori,
in modo che tutti i loro insegnanti, anche quelli non premiati
internamente, possano goderne ed esserne incentivati.
L’AUTONOMIA DELLE SCUOLE
La seconda importante
novità è contenuta nell’affermazione del principio rivoluzionario
per cui “ogni scuola deve poter schierare la miglior squadra
possibile”. È un bene che di questo si inizi a parlare
apertamente, perché i dati dicono che le buone scuole le fanno i
buoni insegnanti, molto più che le architetture istituzionali. Il
documento governativo riconosce che i dirigenti scolastici
sono come comandanti di una nave che non abbiano la possibilità di
governare il timone, di regolare le vele e soprattutto di scegliersi
l’equipaggio. E questa scelta assume un’importanza ancora maggiore
data la necessità di neutralizzare gli effetti negativi della
stabilizzazione indiscriminata dei precari.
Pone, però, dei problemi di coerenza interna alla proposta
governativa. Supponiamo ad esempio che tra gli 80mila precari
destinati alla scuola materna ed elementare non ce ne siano a
sufficienza (ed è molto probabile) per potenziare l’insegnamento
delle scienze, della matematica e delle lingue straniere come i
dirigenti scolastici migliori vorranno fare. Come faranno a
scegliersi la loro squadra preferita? E cosa accadrà degli
stabilizzati che nessuna scuola vuole? Il male minore è che
continuino a percepire il loro stipendio base, quasi come un
sussidio di disoccupazione, ma sarebbe grave se venissero imposti ai
dirigenti facendo danno agli studenti (anche solo come membri del
corpo di pronto intervento che dovrà risolvere il problema delle
supplenze). Il diritto dei precari che, secondo il
Governo, “aspirano legittimamente a insegnare”, non deve dominare
il diritto degli studenti (soprattutto quelli
provenienti da famiglie svantaggiate) a ricevere una ottima
istruzione impartita dai migliori docenti.
Qui sta la debolezza maggiore della proposta governativa:
dice troppo poco su quanto profonda e completa sarà l’autonomia
di cui le scuole potranno godere e di cui avranno assoluta necessità
per operare bene. Come illustrato nell’ultimo quaderno di Treellle,
in molti paesi comparabili al nostro, le scuole (pubbliche) godono
di una autonomia profonda che si estende (con successo) non solo
alla gestione del personale (selezione e meccanismi retributivi e di
carriera) ma anche ai programmi educativi e alla gestione delle
strutture. (3) Se
davvero Renzi vuole non solo che tutto il paese “parli di quel che
si impara a scuola”, ma anche che da questo parlare conseguano nuovi
progetti educativi al passo con i tempi e capaci davvero di generare
un efficace collegamento tra scuola e mercato del lavoro, deve
consentire alle scuole un’autonomia molto più profonda di quella che
il documento governativo lascia trasparire in termini di proposte
concrete.
Ad esempio, come intende rispondere ai genitori e agli studenti che,
nell’annunciata consultazione autunnale, chiederanno un maggiore
investimento in materie scientifiche più che in musica e storia
dell’arte? La realtà è che sarebbe sbagliato se Renzi o chicchessia
scegliesse l’una o l’altra soluzione per l’intero paese, mentre le
singole scuole devono poter avere l’autonomia per disegnare
l’offerta formativa richiesta dal loro bacino di utenza,
assumendo gli insegnanti necessari con la flessibilità e la rapidità
che i concorsi nazionali non hanno mai consentito né mai potranno
consentire.
I nostri studenti non devono essere costretti a scegliere tra
pacchetti di materie (classico, scientifico e così via) come in un
ristorante a menù fisso. Devono poter costruire gradualmente, á
la carte, itinerari formativi diversificati a
seconda delle loro doti e delle prospettive lavorative a cui
aspirano, necessità queste che il pachiderma ministeriale non può
cogliere e regolare con la flessibilità e la rapidità che il
processo richiede.
Quel che il ministero invece deve fare è valutare in modo
standardizzato e comparabile gli apprendimenti cosicché
questa valutazione, separatamente materia per materia, sia la porta
di ingresso al sistema universitario per coloro che vogliono
proseguire gli studi, senza bisogno di ulteriori test di ingresso
alle facoltà.
LA TRASPARENZA
Ben vengano la
trasparenza totale dei dati sulle scuole (che includa però
anche informazioni sul successo dei loro studenti nei percorsi
successivi, un dato non menzionato dal documento governativo, ma
essenziale perché le scuole si impegnino nell’orientamento dei loro
studenti in uscita) e il registro pubblico degli insegnanti
(se Renzi ci riesce sarebbe un successo davvero enorme). E ben venga
l’affermazione che non servono classifiche preconfezionate tra le
scuole. Quello che serve è che le famiglie ricevano, in modo
trasparente appunto, le informazioni elementari che servono per fare
la loro classifica personalizzata delle scuole
preferite in cui mandare i propri figli e per questa via convogliare
i finanziamenti pubblici alle scuole. La trasparenza, però, deve
combinarsi con un ampio spazio di manovra che consenta alle scuole e
ai loro dirigenti di offrire l’istruzione e i buoni insegnanti che
meglio servono alle famiglie e al paese.
(4)
(1) Per ulteriori dettagli su questi dati
vedi: A. Ichino e G. Tabellini, “Freeing the Italian school system”
Labour Economics 2014; una precedente versione in italiano è stata
pubblicata nell’e-book del Corriere della Sera “Liberiamo
la scuola”
(2) Vedi:
http://www.andreaichino.it/other_articles/rdr_valorizza_fxs_3l_dic_2011_testo.pdf
(3) Vedi:
http://www.treellle.org/convegno-di-presentazione-del-quaderno-10
(4) Per una proposta dettagliata che va in
questa direzione, vedi ancora A. Ichino e G. Tabellini, “Freeing the
Italian school system” Labour Economics 2014, pubblicato anche in
italiano nell’e-book del Corriere della Sera “Liberiamo la
scuola”.
Tabella 1 – Numero degli insegnanti e
ore di lezione
Fonte:
Oecd Education at a Glance (2012).
Nota: The number of teachers reported by our source (OECD, Education
at a Glance) excludes special teachers for disabled students while
it includes the ones teaching Catholic Religion (see footnote 19).
Teaching ours in 2000 refer to public institutions only. “m” stands
for missing value.
Tabella 2 – Spesa in istruzione per
studente e in percentuale sul Pil
Fonte:
Oecd, Education at a Glance 2003 and 2012.
Note: PPP means Purchase Power Parity, i.e. data are converted in
order to take into account the difference in living costs across
countries. “Countries comparable to Italy” are the 26 OCED members
presenting a 2009’s GDP per capita figure within the range of
Italy’s 2009 GDP per capita plus and minus one standard deviation (calculated
with respect to all OECD countries). Data for GDP per head, PPP
converted, are from the OCED Database. Unfortunately we do not have
access to government expenditure per student in order to make the
top and bottom panels of this table consistent. But in Italy private
expenditure in primary and secondary education is only 2.2% in year
2000 and 3.4% in year 2010 of total expenditure for the same
instruction levels and the number of students enrolled in public
schools is approximately 90% of the total (see Table 3). Therefore,
government expenditure per student cannot be too different than
total expenditure per student.
Tabella 3 – Trend demografici della
popolazione giovane
Fonte:
OECD Factbook 2013: Economic, Environmental and Social Statistics;
OECD Database and authors’ calculations.
Nota:
The total fertility rate is the total number of children that would
be born to each woman if she were to live to the end of her
child-bearing years and give birth to children in agreement with the
prevailing age-specific fertility rates. Share of young students in
population is the ratio between the number of students enrolled in
primary and secondary institutions (in full-time equivalents) over
total population. Share of Young Students in Population for 2000
refers to 2002 data. Countries comparable to Italy are the 26 OCED
members presenting a 2009’s GDP per capita figure within the range
of Italy’s 2009 GDP per capita plus and minus one standard deviation
(calculated with respect to all OECD countries). “m” stands for
missing value.
Figura
1a - Spesa per istruzione per studente e apprendimenti.
Confronto fra paesi per il 2003
Fonte :
OECD 2004
Figura 1b – Spesa per istruzione per
studente e apprendimenti.
Confronto fra paesi per il 2012
Math
performance in PISA 2012