«Voi non siete speciali. Vi hanno viziati, coccolati, idolatrati. Ma diversamente da quanto suggeriscono il trofeo che avete vinto a calcio o la vostra splendida pagella, non lo siete. Anche se ci fosse un diplomato su un milione, sareste comunque settemila sulla terra: se tutti siete speciali, non lo è nessuno». Il discorso del professore d’inglese David McCullough ai diplomati del suo liceo di Boston finì su YouTube appena concluso, il 7 giugno 2012. La sera stessa era stato visualizzato 2 milioni di volte e condiviso su centinaia di migliaia di bacheche Facebook. E in pochi mesi è diventato un libro, uscito ora anche in Italia: Ragazzi, non siete speciali! E altre verità che non sappiamo più dire ai nostri figli (Garzanti, 252 pagg., € 15, traduzione di Roberto Merlini). «Ricevetti tonnellate di email, la gente mi fermava per strada, le tv mi invitavano. La mia era una critica da insegnante: negli ultimi anni i miei allievi, spronati da genitori che per la loro formazione investono molto, hanno sempre più difficoltà a valutare i propri talenti, pensano che un master darà loro lavoro e diventano narcisisti, incapaci di gestire l’insuccesso. Ma nessuno si è offeso. Anzi, ho capito che il messaggio ‘‘non siete speciali’‘ generava in tutti un certo sollievo».
Già, sollievo. Perché «per i ragazzi di oggi essere speciali è una condanna», spiega lo scrittore Francesco Pacifico. «Non c’è scelta: i loro padri l’avevano, tra un percorso sicuro ma poco eccitante e carriere ambiziose ma più precarie. Loro no: anche per fare l’insegnante oggi servono dieci anni di tribolazioni. Così ci si butta, finanziati da genitori ansiosi, su ambizioni spesso fuori misura: regista, diplomatico, fisico nucleare». Al tema Pacifico ha dedicato un romanzo, Class - vite infelici di romani mantenuti a New York (Mondadori, 189 pagg., € 19). Che inizia così: «La realizzazione personale di un giovane borghese non vale il denaro che costa». E racconta le storie (infelici, appunto) di un giovane regista e della moglie, le cui carriere creative sono finanziate da famiglie non miliardarie fino a tardissima età.
«Credendo di aiutarli, i genitori li caricano di aspettative. E ritardano domande fondamentali: ‘‘ho talento o no? Quello per cui sto studiando mi piace o no?’‘». Non a caso, il manuale Ragazzi, non siete speciali! è dedicato «agli adolescenti, ma soprattutto a mamma e papà. È da loro che nascono moltissime delle ambizioni sbagliate dei ragazzi, e delle loro frustrazioni», spiega McCullough.
Isabella Milani, docente di italiano, è autrice di un blog per
insegnanti: uno dei momenti più rischiosi per gli adolescenti è la
scelta delle scuole superiori
E se il docente americano descrive genitori «ossessionati dai voti, pronti a telefonare a casa dell’insegnante per fargli cancellare un’insufficienza per timore che macchi il curriculum del ragazzo», i colleghi italiani raccontano di «mamme che fanno i compiti al posto dei figli, e se chiedo loro perché mi rispondono: era stanco. Se do un sei, mi chiedono perché non sette, in fondo il ragazzo è portato. E così via». A parlare è Isabella Milani, professoressa di italiano in una scuola media e autrice di un fortunato blog per insegnanti (http://bit.ly/milani_scuola). «Ma il momento peggiore è la scelta delle superiori: noi insegnanti diamo consigli, ma in pochi ci ascoltano. Preferiscono mandarli al liceo, a costo che sputino sangue, e protestare anche lì se i voti non sono buoni, piuttosto che scegliere un buon istituto tecnico o professionale dove potrebbero fare, e stare, meglio».
Un errore e che molti pagano con la dispersione o l’abbandono scolastico. «Il 74% delle richieste di consulenza arrivate tra il 2010 e il 2012 sono di studenti liceali che vogliono cambiare percorso», commenta Francesco Dell’Oro, per anni responsabile del Servizio orientamento scolastico al Comune di Milano e autore di vari saggi sul tema. «Molto spesso non hanno scelto loro di andare al classico o allo scientifico. Ma i genitori, che hanno una fede incrollabile nell’iter liceo - università ‘‘concreta’‘ come Economia o Ingegneria - laurea a pieni voti, come carta vincente per trovare lavoro. E sbagliano». Mostra i risultati 2013 dell’indagine Excelsior di Unioncamere, secondo cui le capacità più richieste per un neolaureato sono «lavorare in gruppo» e «attitudini comunicative»: «capacità che un ragazzo sviluppa se studia con piacere e curiosità, non con l’acqua alla gola in un corso scelto ‘‘perché dà lavoro’‘. Magari uno sarebbe un buon chef, e invece passa anni di fatica a studiare da medico».
O, come i velleitari protagonisti del romanzo di Pacifico, anni di scuole di cinema per poi scoprirsi senza talento. Anche questo è un rischio. «Ma almeno sta seguendo la sua strada», chiosa McCullough. «L’importante è che si trovi un piano B, un’attività con cui mantenere il sogno e che non gli dispiaccia. Se no non diventa adulto». Figlio di uno storico affermato (il premio Pulitzer David McCullough Sr.), da giovane aveva i mezzi economici e il desiderio di fare lo scrittore. Tre romanzi impubblicati - «e impubblicabili, lo ammetto» - più tardi ripiega, senza voglia, sull’insegnamento. «Un lavoro ordinario. Che però mi piacque moltissimo. E non solo: mi ha poi consentito di scrivere un libro, proprio sull’insegnamento. Realizzando, alla fine, il mio sogno da ragazzo».