Senza soldi, la riforma della scuola
non potrà passare

Lucio Ficara, La Tecnica della Scuola 9.9.2014

Il mondo della scuola è in fermento: i docenti non sono d'accordo a lavorare di più e meglio a stipendio invariato (o forse addirittura diminuito)

L’urlo di dissenso degli insegnanti, rispetto ad alcuni aspetti della prossima riforma della scuola, non lascia molti margini di confronto. Gli insegnanti dicono basta a riforme a costo zero, anzi a costo negativo. Il mondo della scuola è in fermento, molto più del mondo sindacale, e manda un messaggio chiaro ai palazzi della politica. Non è immaginabile continuare a riformare la scuola sulla base di calcoli ragionieristici e tenendo conto della necessità di razionalizzare la spesa. Ecco allora che gli insegnanti dicono basta ai tagli lineari, basta alla destrutturazione contrattuale, basta ai mancati piani “faraonici” di edilizia scolastica, basta all’emergere sempre più frequente di classi pollaio, basta alla riduzione degli organici a fronte di un aumento degli studenti, basta al taglio di ore di insegnamento curricolare di molte discipline, basta con le vergognose promesse mancate sulla legittima aspettativa di pensione dei quota 96, basta con l’uso reiterato dei contratti degli insegnanti a tempo determinato, basta con i ripetuti tentativi di aumentare i carichi di lavoro e l’orario di servizio settimanale degli insegnanti, basta con il blocco permanente del contratto, basta con il blocco degli scatti di anzianità, basta con l’azzeramento del fondo d’Istituto destinato alle scuole, basta con i tagli odiosi sul sostegno, basta con le trattenute in busta paga quando ci si ammala, basta con le campagna diffamatorie contro gli insegnanti, bollati come fannulloni, corporativi e eccessivamente sindacalizzati, basta con il considerare gli insegnanti come una casta che lavora poco e che gode di tre mesi di vacanza l’anno, basta con il taglio dei diritti e l’introduzione di doveri cogenti.

Questo non è conservatorismo di chi vuole mantenere lo status quo, ma piuttosto è il dire no a condizioni di lavoro peggiorative e poco dignitose per il ruolo professionale dei docenti. In buona sostanza vale, in questo caso, il proverbio che dice: “Senza soldi non si canta messa”.

Se il governo vuole una scuola più competitiva e più formativa, una scuola dove il ruolo del professore diventi centrale, tanto da assumere un ruolo accademico e un’identità carismatica, una scuola in cui la qualità didattica e dell’organizzazione del lavoro corrono su binari paralleli, ma allo stesso tempo concorrono a formare alunni preparati e competenti per affrontare il mondo universitario e del lavoro, allora, se si vuole veramente una scuola così, bisogna investire molti soldi sull’istruzione e adeguare concretamente gli stipendi degli insegnanti a quello dei funzionari di Stato.

Finché si pagheranno gli insegnanti con stipendi medi di 1500 euro, non si potrà avere una scuola di qualità. Senza soldi non si fa una scuola di qualità e senza soldi la riforma della scuola non potrà mai passare. Basta con il tentativo del governo di dire : “Lavorate di più, anzi molto di più, lavorate meglio, anzi molto meglio e se, sarete bravi e meritevoli, forse fra tre anni vi aumentiamo lo stipendio”.

Gli insegnanti non ci credono più e dicono basta, almeno questo è quello che viene percepito da tantissimi interventi sul web, ci interesserebbe sapere dai nostri lettori se è veramente così oppure se ci sono anche insegnanti più fiduciosi.