Riforma della scuola: di Alex Corlazzoli, Il Fatto Quotidiano 3.9.2014
Le idee ci sono. Almeno
quelle. A differenze degli altri governi, un progetto (condivisibile
o meno) c’è. Va letto riga per riga per comprenderlo. Resta un
dubbio: come si concretizzerà? I finanziamenti a disposizione sono
sufficienti per realizzare
un piano che va dall’assunzione di 150mila precari, alla formazione
(è da pagare!) dei docenti, alla connessione wifi di tutte le scuole?
Non resta che vedere ogni aspetto di queste linee guida. E dare
qualche voto.
Renzi ha fatto una
fotografia puntuale della situazione; ha spiegato agli italiani la
differenza tra organico di diritto e di fatto, ha capito che le
graduatorie ad esaurimento non hanno più senso, ha recepito le
richieste del sindacato di passare ad un organico funzionale.
Impossibile essere contrari a questa proposta. Il piano
straordinario di assunzione prevede, con coraggio, di assumere per
l’anno scolastico 2015/2016, il 90% dei docenti dalle Gae. Un addio
alle graduatorie che ci aspettiamo da anni. Ma non
è chiaro come Renzi troverà i 3 miliardi di euro necessari
ad assumere 148.100 nuovi docenti. Certo, 350 milioni circa si
risparmieranno dall’abolizione delle supplenze (nonostante le
graduatorie d’istituto non spariranno del tutto) ma resta una cifra
considerevole da coprire. Non è chiaro nemmeno come saranno usati i
docenti che serviranno a coprire le supplenze:
quando non vi saranno i colleghi malati che faranno?
Era dal 1997 che non si
parlava della necessità della
formazione obbligatoria dei docenti. Evviva! Un neo: Renzi pensa
di fare aggiornamento senza spendere un soldo ovvero usando gli
stessi docenti: “Un docente è il formatore più credibile per un
altro docente”. Forse non conosce bene il livello culturale degli
insegnanti italiani. Buona l’idea dei crediti didattici,
formativi e professionali ma va declinata meglio e vista in
visione contrattuale. Mi spiego: ad oggi un docente che va ad un
corso di formazione diventa un problema per la scuola che ha l’onere
di sostituirlo? Come possiamo pensare a dei crediti formativi se
resterà questo problema? Come si attribuiranno i crediti didattici?
Da una parte Renzi
parla di assunzione dalle Gae, dall’altra di concorsi, dall’altra
ancora di una “scuola che deve poter schierare la miglior squadra
possibile”. Più che un puzzle, un rebus. Qui manca il
coraggio di andare in una direzione precisa. Forse per non
ammettere che il progetto Aprea aveva in qualche modo un senso. Di
là delle parole, “cruscotto”- “trasparenza”, non si comprende a cosa
e a chi servirà il sistema di autovalutazione e quello di
valutazione (Invalsi). Un consiglio: Renzi e
Giannini rileggano
il dossier della Fondazione “Giovanni Agnelli” sul tema.
In questo capitolo si salva solo un appunto: l’idea di rivedere il
Testo Unico sulla scuola del 1994. Ma è solo una vaga intuizione…
Nulla di nuovo sotto il
sole. Le linee guida confermano una necessità: musica e arte va
fatta seriamente fin dalla scuola primaria. Nel documento si ammette
che servono “docenti qualificati magari anche attraverso sinergie
tra scuola primaria e scuola secondaria”. Ad oggi la maggior parte
dei docenti insegnano solo a suonare il piffero con buona pace degli
altri strumenti e dell’educazione musicale. Per quanto riguarda
educazione all’arte, la primaria, è la scuola del lavoretto.
Per qualificare i docenti servono investimenti. Per fare
sinergia servono soldi. O forse Renzi pensa che il maestro faccia il
volontario della Caritas?
Non si può non
riconoscere il tentativo di mettere al centro gli istituti
professionali. L’idea di passare dagli 11 milioni di euro stanziati
nel 2014 ai circa 100 milioni di euro per l’alternanza scuola –
lavoro, è audace. Non mi scandalizza l’idea che imprese e scuola
co-progettino percorsi. C’è la capacità di pensare ad una
scuola che investa sui laboratori, soprattutto sul
digitale. Ma resta un errore di fondo: l’orientamento lavorativo e
scolastico trova le sue fondamenta nella scuola primaria e
secondaria. E’ lì che vanno potenziati i laboratori, le esperienze
sul territorio affinché fin da piccoli i bambini abbiano dei sogni
da cullare. Un futuro creatore di app, fin da piccolo avrà la
passione per l’informatica ma spesso non può coltivarla a scuola.
Renzi con questo punto
dimostra chiaramente che di soldi per la scuola non ce ne sono. Con
la solita mania delle parole che la casalinga di Voghera non
comprende (e nemmeno molti maestri) si inventa lo “School
Bonus”, lo “School Guarantee” e pensa al
crowdfunding. L’ingresso dei privati nella scuola è già
realtà: le scuole si sono vendute ai supermercati e le maestre
passano le ore a contare bollini per avere un computer, i prodotti
per lavare il pavimento o la carta igienica. Non solo. I maestri pur
di avere una tv, un videoregistratore e qualche soldo in più, si
buttano nei concorsi, raccolgono rifiuti la domenica mattina. Ora
arriva il crowdfunding. Chiariamoci: chi lo farà? Gli imprenditori
italiani sono messi così bene da avere soldi da investire nella
scuola? La consultazione è fin troppo vasta. C’è di tutto e di più, in sessanta giorni: dibattiti, co-design, jams, world cafès, coalizioni di investimento per la scuola digitale. Non manca niente. Anzi appare strano che non venga usato Twitter, tanto amato dal premier. Ma come diceva il proverbio “chi troppo vuole, nulla stringe”. Ringraziamenti. Le linee guida nascono da cinque – sei persone. Più il Capo di Gabinetto del Ministro, Alessandro Fusacchia e il capo segreteria, Francesco Luccisano. Meno di dieci persone per un rapporto di questo genere. Un lavoro che sarebbe dovuto nascere dalla consultazione di chi, realtà associative e non, si occupa di istruzione. E invece… |