La Buona Scuola: alcune riflessioni sulla proposta del Governo Renzi Anna Monia Alfieri, La Tecnica della Scuola 4.9.2014
Le tanto
attese linee guida sulla scuola, di miracolistico hanno ben poco -
forse per fortuna - nessuna soluzione preconfezionata, tanti punti
aperti e qualche spiraglio. Abbiamo avuto modo di scrivere sul ruolo
attivo dei cittadini responsabili al servizio della Societas e a
questi sembrano guardare il Premier Renzi e il Ministro Giannini. Lo stupore sta nei dettagli, più che nei contenuti. A partire dal linguaggio: tutto è chiaro come se fossimo seduti in poltrona nel salotto buono, ad ascoltare un racconto che dosa dramma e speranza, senso del peccato (le migliaia di leggi colpevolmente stratificate) e squarci di luce (la rinascita di un corpus di poche decine)… Singolare e accattivante l’immagine del “patto formativo”: «Vi propongo una cosa diversa: un patto formativo, non l’ennesima riforma». Ci vuole coraggio: un patto implica una reciprocità. Il Governo fa il primo passo: squaderna la situazione in modo chiaro; al cittadino il compito di rispondere con un impegno di riflessione. Con un pizzico di poesia: «Costruire una occasione di bellezza educativa per i nostri figli e per le famiglie che spesso vedono nella scuola non un posto dove stare sicuri ma di preoccupazione», per non dire di disperazione. Evidentemente l’Italia ha bisogno di spiegare a se stessa, all’Europa e al mondo come mai dal 1948 ad oggi due diritti sanciti dalla Costituzione, la libertà di scelta educativa della famiglia in un pluralismo educativo e la libertà di insegnamento, non trovano garanzia.
Dunque il premier
invita a leggere e commentare. Volentieri. «Metteremo più soldi, ma
facendo comunque tanta spending review: perché educare non è mai un
costo, ma gli sprechi sono inaccettabili soprattutto nei settori
chiave». Inaccettabili perché sono sprecati i soldi dei cittadini,
ad esempio per pagare lo stipendio a chi legge il giornale in
classe, oppure a chi si defila per malattia virtuale, o anche per
costruire aule “con la cresta” (per gli amministratori di turno?), i
cui muri si sfondano alla prima cartellata dei pargoli… L’antidoto? Fatta salva la documentata solidità di salute fisica e mentale di migliaia di dirigenti scolastici italiani, a loro spettano maggiori poteri decisionali e gestionali, competenze appropriate che non possono non avere per contribuire alla “buona scuola” che il cittadino si aspetta. Statale o paritaria non importa: a entrambe toccano i conti della serva, come le glorie della cultura, in una libertà di insegnamento che solo un preside gestore, o un preside unitamente al gestore, può garantire. Il ruolo dello Stato: controllare, con ispettori competenti, integerrimi e non ideologici. I tempi sono passati, anche se forse la tenia dell’ideologia è dura a morire. Infine: 1) la valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito sono risorsa insostituibile per la scuola e la società; 2) una buona, sana e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato è l’humus della libertà di scelta educativa; 3) l’abbassamento dei costi e la destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi rende giustizia al cittadino nelle sue fatiche e pene economiche; 4) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine delle scuole non adeguate condurrà ad un Sistema Nazionale di Istruzione d’eccellenza; 5) la dignità restituita ai genitori di esercitare la propria responsabilità educativa sui figli sarà un ruolo ritrovato in una libertà ritrovata. |