“Noi, in 43 nella classe dove per fare
Caltanissetta, un giorno di lezione nell’aula
più affollata d’Italia Sara Scarafia, la Repubblica 21.9.2014 Per leggere l’appello — un lenzuolo di carta formato A3 — servono quindici minuti. Oggi, quarto giorno di scuola, in terza A gli assenti sono tre, i presenti 40. Nella classe-pollaio del liceo Alessandro Manzoni di Caltanissetta non ci sono galli né galline, ma 43 ragazzi tra i quindici e i sedici anni ai quali viene imposto di studiare a temperature ideali per la schiusa delle uova. Nella terza liceo più affollata d’Italia, quando il gruppo è al completo, ci sono 48 persone: i 43 alunni (41 ragazze e due ragazzi), la docente in cattedra e gli insegnanti di sostegno che assistono i quattro studenti disabili. Una maxi-classe dove non si fa educazione fisica perché non c’è una palestra tanto grande da contenere tutti, dove in due ore di lezione di matematica non si riesce nemmeno a finire un’equazione. «Ecco una dimostrazione plastica di come a volte la burocrazia cozzi con il buonsenso»: la preside Giuseppina Mannino Pirrello è alla sua scrivania, dove da giorni combatte una battaglia per ottenere lo sdoppiamento della classe. Riuscendo finalmente a far breccia nel ministero, che ieri pomeriggio ha dato l’ok alla deroga. Finora all’istituto ex magistrale, che ha tre indirizzi (scienze umane, economico-sociale e musicale), erano state assegnate soltanza to tre “terze”: i 49 studenti che hanno scelto l’indirizzo economico-sociale sono stati divisi in due classi, i 43 che hanno optato per scienze umane sono finiti invece in un unico gruppo. «A luglio — racconta la preside — gli iscritti erano 36». A settembre si è aggiunto il gruppo di ragazzi che non avevano superato gli esami di riparazione. «Non posso certo promuovere tutti per ragioni di spazio», dice la dirigente che mercoledì, primo giorno di scuola, si è ritrovata a dover gestire una classe che nel suo liceo — 450 iscritti — non si era mai vista. La maxi-terza ha messo insieme due ex seconde che adesso occupano le due metà della sala conferenze: una ha scelto l’ala destra, l’altra si è schierata a sinistra. A Caltanissetta il termometro segna 35 gradi. Manuela — caschetto rosso raccolto sulla nuca e un mini- dread che accarez- la t-shirt a righe bianche e azzurre — si alza per aprire la porta antipanico, mentre l’insegnante di Matematica ripete per l’ennesima volta l’equazione da risolvere. «Prof, non si sente niente», dice Dalila, gilet di jeans su maglia fucsia e unghia laccate alla perfezione. L’insegnante ripete un’altra volta, alzando la voce per superare i tonfi di libri e penne che precipitano ripetutamente dai tavolini basculanti delle sedie da sala conferenze. Il pavimento è un tappeto di zainetti che sbucano tra i lacci colorati delle sneakers perché non c’è una spalliera alla quale appenderli. Ma la sala conferenze al piano terra — senza lavagna né banchi — alla preside è sembrata l’unica soluzione per garantire un minimo di sicurezza. «Il primo giorno ho provato a sistemare tutti in un’aula normale ma sono stata costretta a farli uscire subito». «A fine anno ci bocceranno tutti», sospirano Morena e Federica. Angelo, l’unico alunno di sesso maschile oggi presente, cerca con lo sguardo Giuseppe Mirabella, il suo insegnante di sostegno. «In questa classe ci sono quattro disabili — dice il docente — ma qui nessuno è nelle condizioni di imparare nulla». «Per interrogarli tutti ci vorranno più o meno quattro mesi», dice Sofia Castrogiovanni che in terza A insegna Latino. Oggi avrebbe dovuto fare lezione alla quarta ora, ma la preside — dopo le insistenze degli studenti che avrebbero voluto riunirsi in assemblea permanente — ha concesso che si studiasse, o meglio si tentasse di farlo, solo nelle prime tre ore, mentre le altre due sono state dedicate a un dibattito tra gli alunni, che due giorni fa hanno chiamato a raccolta pure i genitori. «Se il ministero non rispetterà l’impegno, le nostre famiglie andranno dal giudice perché ci viene negato il diritto allo studio», dice Sabrina. Lunedì la risposta. Ma i ragazzi sono già pronti a riempire i muri della scuola con cartelli di protesta: «E a sfilare in corteo fino al provveditorato », annunciano. Manuela, Sara, Morena, Viviana, Federica, Dalila, Danila. Un piccolo esercito di giovani donne che intendono farsi valere: «Studiano per diventare insegnanti, ma se questa è la scuola faremo la rivoluzione per cambiarla. |