«Buona scuola» con poco merito:
spunti positivi ma in una logica solo redistributiva

di Stefano Da Empoli*, Il Sole 24 Ore 22.9.2014

Scatti basati sul merito e non sull'anzianità, aumento e stabilizzazione delle risorse dedicate alla scuola, rafforzamento dei rapporti scuola-lavoro, coinvolgimento dei privati attraverso strumenti innovativi (School bonus, School guarantee e crowdfunding), focus sull'inglese e sulle tecnologie digitali, estensione dello studio dell'economia a tutte le scuole secondarie, educazione finanziaria. Sono molti i pregi del piano scuola presentato il 3 settembre dal Governo e sottoposto a una consultazione online che durerà fino a metà novembre.

Ma i tanti aspetti virtuosi e lo stile innovativo sono più che compensati dall'elemento che domina su tutto, in primo luogo finanziariamente: la stabilizzazione di tutti i precari in circolazione, quasi 150mila persone, che avverrà in un colpo solo in tempo per l'inizio del prossimo anno scolastico. Una scelta che costerà alle casse dello Stato un miliardo circa nel 2015, 3,1 miliardi nel 2016 per arrivare dopo dieci anni a 4,1 miliardi. A fronte, tutt'al più, di un risparmio di qualche centinaia di milioni di euro l'anno di supplenze risparmiate. Nel Rapporto si legge che «oggi il Governo intende mantenere questa promessa ereditata dal passato, assumendo tutti» coloro che risultano iscritti nelle famigerate Graduatorie a esaurimento (Gae) e vincitori o idonei del concorso svoltosi nel 2012. Ma non era questo il Governo che voleva rottamare il passato? Siamo sicuri che la maggiore assunzione di dipendenti pubblici dai tempi della Dc dei vecchi tempi sia compatibile con la peggiore crisi economica che il Paese sta vivendo nel Dopoguerra?

Probabilmente no o comunque non a sufficienza se, a pagina 36 del documento, si legge che «il Governo ha molto chiaro in mente che le risorse necessarie per realizzare tutto ciò non sono un costo. Quanto piuttosto un investimento. Probabilmente il più grande investimento nella scuola degli ultimi 20 anni e il miglior investimento che oggi possiamo fare sul futuro dell'Italia».

Il capitale umano è certamente un fattore fondamentale di competitività e dunque la scuola deve essere un asse portante sul quale investire per una strategia di crescita di lungo periodo. Tuttavia questo non vuol dire che ogni tipo di spesa sia giustificata né tantomeno abbia la stesso rendimento marginale.

Se si osservano i dati Ocse di confronto internazionale ("Education at Glance", 2013), è vero che l'Italia spende meno in educazione in media rispetto agli altri Paesi, ma il rapporto studenti/insegnanti nella scuola (al contrario dell'università) è più basso che altrove. Dato che siamo più indietro degli altri in termini di risultati, è evidente che, per raggiungere gli altri Paesi, occorre puntare più sulla qualità che sulla quantità. Dedicando una parte significativa delle maggiori risorse nel miglioramento delle strutture e delle loro dotazioni (al di là di mirabolanti annunci sull'edilizia scolastica che non sembrano trovare supporto nella realtà delle cifre) e nel premiare le competenze migliori.

Un'infornata senza se e senza ma di 148.100 docenti, che sarebbero assunti quasi tutti senza aver passato un concorso, appare del tutto inadeguata se l'obiettivo resta quello di migliorare la scuola a vantaggio degli studenti e del Paese. Gli unici a meritare davvero un'assunzione senza se e senza ma sono i vincitori del concorso del 2012 non ancora immessi in ruolo (che nell'anno scolastico appena partito non dovrebbero superare le 3mila unità, secondo i dati del ministero). Per tutti gli altri si dovrebbe agire sulla base delle esigenze reali di oggi, dando priorità al riempimento delle cattedre realmente scoperte (tra 50mila e 60mila) e alle competenze più utili, richiamate nello stesso documento (inglese e informatica, ma anche musica, storia dell'arte e sport).

L'altra grande perplessità sulla riforma riguarda proprio il riconoscimento del merito, che dovrebbe esserne il principio cardine. Come funzionerà la meritocrazia nella "buona scuola" renziana? Ogni tre anni il 66% dei docenti della singola scuola, quelli che avranno maturato più crediti negli anni precedenti, avrà diritto a uno scatto di retribuzione. Al di là dei rischi di un meccanismo poco cooperativo - che tuttavia possono starci a fronte di un incentivo individuale forte -, il vero lato oscuro sta proprio negli strumenti di valutazione sia del singolo docente che della scuola.

A pagina 65 si legge che «il sistema di valutazione della scuola che intendiamo costruire non è fatto di competizione e classifiche. E non mira semplicisticamente a premiare la scuola migliore, quanto piuttosto a sostenere la scuola che si impegna di più per migliorare». Oltre il fumo della retorica, si intravede una sostanziale linea di discontinuità con i tentativi di mettere la valutazione nazionale davvero al centro della riforma della scuola. Non si può certo fare del tutto retromarcia su questo fronte, specie per un Governo che si richiama al merito, ma appare piuttosto evidente come il Sistema nazionale di valutazione (Snv), frutto di un lavoro durato anni e previsto da un decreto del Presidente della Repubblica del 2013 e prossimo all'operatività, sarà reso il più possibile innocuo.

Nel patto ipotizzato da Renzi tra istituzioni, studenti e docenti, a guadagnarci con certezza sono soltanto gli insegnanti precari. Per tutti gli altri si vedrà. Anche in questo caso, come sul bonus fiscale, ci si può trincerare dietro la politica dei buoni sentimenti che redistribuisce ai più poveri. Ma sfugge il nesso con le prospettive di crescita del Paese. Come se nell'Italia di oggi fossero un orpello inutile.


* Presidente I-Com