il
piano del governo
Assunzioni in massa e il rischio
dei docenti poco e male utilizzati
Non basta la presenza di un organico allargato
per migliorare la scuola:
bisogna dare agli studenti la possibilità di scegliere fra
discipline diverse
di Paolo Ferratini, Il Corriere della Sera scuola
5.9.2014
Il documento sulla scuola presentato in questi giorni dal governo
merita di essere letto e discusso nella sua interezza. Per una volta
non siamo di fronte a semplici messe a fuoco di obiettivi da
conseguire, ma ad un vero progetto di cambiamento, munito di dati
quantitativi, proiezioni temporali, poste economiche, soluzioni
organizzative. Di ciò va dato atto non solo per obbligo di
equanimità, ma perché, diversamente dal passato, il disegno che
viene offerto al confronto invita a un dibattito serrato sulle cose
da fare, sfidando tutti ad una dimensione di pari impegno e rigore.
Non si parla di ridurre gli anni di studio
da tredici a dodici
Parto dai vuoti, da ciò che manca. Due temi. Il primo riguarda il
comparto della formazione professionale; benissimo la proposta di
arricchire e stabilizzare l’alternanza scuola-lavoro e di integrare
forme innovative di apprendistato. C’è però una questione di
ordinamento da risolvere, su cui il documento tace: occorre superare
per sempre il dualismo istituzionale tra istruzione e formazione
professionale. Le esperienze maturate in molte regioni negli ultimi
anni hanno dimostrato che i tempi sono maturi. Si può e si deve
fare. Il secondo tema riguarda invece la riduzione della scolarità
da tredici a dodici anni. Il dibattito va ripreso, mentre il
documento, volutamente credo, non vi fa cenno.
Una buona parte delle centotrentasei pagine verte invece sugli
insegnanti. Buona l’intenzione di sostituire i meriti acquisiti agli
anni di servizio come criterio di avanzamento stipendiale, con
soluzioni equilibrate e sostenibili - anche se credo che un qualche
meccanismo di premio retributivo, seppur residuale, debba rimanere
ancorato all’anzianità: non sarei così giacobino. Ciò che tuttavia
costituisce il cuore del documento è legato al piano delle
assunzioni e al nuovo modello organizzativo che ne deriverebbe.
Vediamo.
Tutti i governi hanno promesso che la loro
sarebbe stata l’ultima sanatoria
Tutti gli ultimi governi hanno promesso che la loro sanatoria
sarebbe stata l’ultima. Il governo Renzi non fa eccezioni. La novità
è data dal piano poliennale del progetto (il primo esempio di
«politica del personale» nel settore da decenni), che aspira non a
tamponare l’esistente ma a governare il processo nel medio periodo:
lo svuotamento in un sol colpo delle Gae (graduatorie ad
esaurimento), consentirebbe infatti di azzerare la platea del
precariato e di aprire una stagione nella quale si entra nella
scuola solo attraverso i concorsi.
Una soluzione coraggiosa e forte, che tuttavia sconta due problemi.
Il primo è che costa tanto (a regime 4 miliardi all’anno): è vero
che gli ultimi anni di tagli hanno inciso del doppio sulla scuola,
ma è vero anche che la composizione della spesa totale del settore
si sbilancerebbe ancora di più sul versante degli oneri correnti
rispetto agli investimenti, il che non solo non è bello da vedere
(nei confronti internazionali), ma alla lunga incide negativamente
sulla qualità del sistema. Molto dipende da come si immagina
l’impiego di un contingente così corposo di docenti nella scuola dei
prossimi anni. L’ipotesi del governo è quella di dotare le scuole di
un organico aggiuntivo, grazie al quale esse potrebbero provvedere
non solo alle supplenze temporanee, ma anche all’arricchimento e
potenziamento della propria offerta formativa.
Scuole e docenti non sono pronti ad una duttilità operativa
Il rischio di questa operazione (ecco il secondo problema) è che le
scuole non siano affatto pronte a una radicale innovazione di
modello, che richiederebbe ai dirigenti scolastici una capacità di
regia che in gran parte non hanno, e ai docenti una duttilità
operativa estranea alle loro consuetudini professionali. Nella
peggiore, ma ahimé non inverosimile, delle ipotesi, ci troveremmo in
una scuola con una pletora di docenti sotto o male utilizzati, con
scarso vantaggio per gli studenti e forte aggravio per le casse
dello Stato.
Perché ciò non accada, occorre più coraggio proprio sul fronte
dell’autonomia scolastica. La presenza di un organico allargato non
basta: occorrono due altre condizioni. 1) La flessibilità dei
curricula : fornita l’ossatura dei quadri orari nazionali, è
indispensabile permettere non soltanto alle scuole di «curvare» il
curriculum , ma anche agli utenti di scegliere all’interno di un
ventaglio di discipline opzionali; 2) la flessibilità degli orari di
cattedra: che significa, per il dirigente, potere disporre con
maggiore libertà della gestione del personale (inimmaginabile, per
chi vive fuori dalla scuola, il danno didattico provocato
dall’obbligatorietà delle 18 ore frontali, che ha spezzettato le
cattedre, spacchettato le discipline, impedito la continuità dei
consigli di classe). C’è ancora molto da mettere a punto, ma il
passo compiuto è importante e va nella giusta direzione.