A chi conviene Riforma con pochi «meriti» «Sbagliato procedere alla regolarizzazione in un colpo solo dei precari» di Roger Abravanel, Il Corriere della Sera scuola 4.9.2014 Il governo Renzi sta varando le linee guida della riforma della scuola. Propone di assumere dal prossimo anno a tempo indeterminato 150 mila docenti precari e tra due anni 40 mila nuovi docenti tramite concorso con un investimento a regime di 4 miliardi all’anno. L’obiettivo dichiarato è quello di dotare le scuole di tutti gli insegnanti di cui hanno bisogno ed eliminare la «supplentite». Non convince. L’obiettivo di stabilizzare i precari può avere senso. Non è colpa loro se per anni lo Stato italiano ha fatto mezze promesse facendogli frequentare scuole di specializzazione, senza mai stabilizzarli. Il numero abnorme e crescente dei precari pende come una spada di Damocle sulla speranza di concorsi futuri perché la «stabilizzazione» è sempre in agguato (come dimostrato da questa riforma).
È sbagliato poi procedere a una regolarizzazione totale in un colpo
solo. Intanto perché un numero di supplenze brevi sarà sempre
necessario visto che gli insegnanti di ruolo non si possono spostare
a metà anno e, in particolare alle medie e alle superiori, ci sono
sempre buchi da riempire. Ma, soprattutto, viene meno l’obiettivo di
incidere drasticamente sulla qualità dei professori creando un
cammino prevedibile, affidabile e meritocratico per l’accesso
all’insegnamento che attragga i migliori. E non è questione di risorse. Contrariamente a quanto sostengono le «linee guida», la scuola italiana non ha bisogno di molti fondi aggiuntivi, perché, anche dopo i «tagli», il rapporto insegnanti- studenti è più alto della media Ocse (l’Organizzazione cooperazione e sviluppo economico). Tanto più che Matteo Renzi ha promesso di tenere i conti della spesa pubblica sotto controllo.
Quanto alla meritocrazia, la riforma lascia molto a desiderare.
Sulla selezione, perché appunto i concorsi sono incerti e quindi si
riduce la possibilità di attrarre i migliori. Va un pochino meglio
sui 150 mila da stabilizzare. Un po’ di meritocrazia ci sarebbe
perché dovranno essere scelti dalle scuole: i più bravi riceveranno
offerte da più istituti e gli altri marginalizzati in incarichi
secondari.
Per ciò che riguarda il resto degli oltre 600 mila insegnanti, per i
presidi e per le scuole, l’obiettivo di raggiungere una maggiore
meritocrazia si perde. Secondo le linee guida della riforma, i
professori dovrebbero avere stipendi differenziati. Ma in base a
cosa? L’unico criterio concreto appare essere quello dell’aver
frequentato dei corsi di specializzazione, che in Italia si sono
sempre rivelati di scarsa utilità formativa. Le scuole verranno
invece misurate in base a una non meglio precisata
«autovalutazione». Cosa se ne faccia il ministero di queste
«autovalutazioni» non è chiaro. Esistono Paesi, come la Finlandia,
che hanno ottimi sistemi educativi. Eppure non valutano le scuole e
non differenziano gli stipendi degli insegnanti per merito. Come ci
riescono? Puntando moltissimo sulla selezione all’ingresso degli
insegnanti (una professione che attira i migliori laureati) e su una
vera formazione, fatta in classe da professori esperti e non
attraverso corsi di aggiornamento. Proprio le due leve che questo
decreto sembra ignorare o addirittura penalizzare, come avviene per
la selezione attraverso concorsi. |