Una scuola “buona” per chi?

di Marina Boscaino e Corrado Mauceri, MicroMega 30.9.2014

La storia recente e passata non sembra averci insegnato più di tanto. 20 anni di berlusconismo sono stati vissuti fronteggiando le emergenze immediate: guardando il particolare per non occuparci del generale, che – lentamente, ma inesorabilmente – ci è franato rovinosamente addosso. Adesso siamo nel mezzo di una palude malsana: alla vulgata del giovanilismo, del modernismo, del tutto e subito, dell’assenza di riflessione, del “non sapete con chi avete a che fare” che piace tanto a tanta gente perché, da una direzione apparentemente opposta, ripropone in versione young il modello del leader carismatico e decisionista; a quegli atteggiamenti scanzonati e sbrigativi (non ho tempo da perdere per consultazioni, ascolto, condivisione, mediazione e menate del genere) si affianca (ed è questa la cosa enormemente preoccupante) una deriva autoritaria di dimensioni ben più allarmanti di quella degli ultimi anni.

Perché essa è assecondata e accompagnata da media, poteri forti, alte cariche dello Stato, omogeneamente schierati a sostegno del grande rottamatore, capace di tutto e – a parole – invincibile ed incontenibile. Complice anche l’assenza di un’efficace opposizione politica dentro e fuori il suo partito, ormai quasi compattamente attestato sulle volontà del nuovo decisore unico. Quando ci sveglieremo dall’ennesimo sogno collettivo, sarà non solo troppo tardi, ma completamente inutile. Perché bastano pochi colpi ben assestati per mettere definitivamente in ginocchio una democrazia ormai barcollante.

Job act, legge elettorale, riforma del Senato, atteggiamenti padronali e proprietari nella gestione della cosa pubblica rischiano di annullare per sempre garanzie e tutele individuali e collettive, partecipazione alla vita collettiva, democrazia, attraverso un continuo riferimento ad un principio di necessità, che definisce una situazione di emergenza da “ultima spiaggia”: prendere o lasciare. Il balbettio del sindacato davanti ad attacchi ferocissimi non costituisce una garanzia per noi lavoratori. Il trattamento riservato ai giudici, alla sanità, alla scuola, alle istituzioni costituzionali costituiscono un’insidia forse irreversibile per la democrazia.

Cosa faremo quando ci troveremo – a colpi di decreto legge e/o di mano – uno Stato cambiato nei suoi principi e nelle prerogative delle sue componenti? Ci consoleremo continuando ad occuparci settariamente dei nostri orticelli, grandi ma piccoli, se confrontati con ciò che rischiamo di perdere? E sarà sufficiente ad autodefinirci assolti rispetto a quella mancanza di unità che tutta la società democratica, che abbia davvero a cuore tutti i principi costituzionali in tutte le loro declinazioni e ricadute, dovrebbe ora più che mai ricercare e tentare di consolidare? Solo un anno fa una grande giornata di democrazia, il 12 ottobre, vide unite parti della società civile sotto la guida del documento “La Via maestra”. E ancora erano lontani i tempi della nuova demagogia giovane, aggressiva, parolaia e proterva e dei nuovi pericolosissimi attacchi a principi e democrazia. Poi tutto ha taciuto. E siamo ritornati in questo limbo di inerzie che si moltiplicano proporzionalmente all’aggressività dimostrata dai nuovi padroni.

Torniano a noi, che deve essere ora davvero un noi collettivo; non solo la scuola, che da sola non può avere la forza aggregante per controbattere alla politica di comunicazione capillare e di appeal che Renzi ha avuto l’abilità di mettere in campo. Noi società civile, noi non sedotti dall’ennesimo incantatore di serpenti, che insieme ai serpenti vuole far fuori principi e realtà. Che chiama “ascolto” (la base della condivisione democratica) un sondaggio commissionato ai soliti noti e pilotato/pilotabile nelle domande e negli esiti. Per essere ascoltati c’è bisogno di esprimersi, non di seguire una regia prestabilita.

Al di là degli annunci demagogici per l’assunzione del precariato e per l’organico funzionale, la proposta “La Buona Scuola”, introducendo la meritocrazia con conseguente gerarchizzazione del personale della scuola ed una gestione aziendalista sotto il controllo dei dirigenti scolastici e del Ministro, esprime (portando per la verità a compimento un processo già avviato da Luigi Berlinguer) un’idea di scuola azienda alternativa alla scuola per l’uguaglianza della Costituzione. Inserendosi nell’alveo di un accordo nel merito e nel metodo trasversale, il piano scuola di Renzi scardina i principi della democrazia scolastica fondata sul pluralismo e sulla libertà di insegnamento e li sostituisce con l’autoritarismo del dirigente scolastico, decisore unico delle sorti dei sottoposti; scardina i principi dell’uguaglianza e dell’unitarietà del sistema scolastico, perché ammette e anzi favorisce l’entrata dei privati nella scuola, ampliando inevitabilmente la sperequazione tra istituti scolastici, a seconda di indirizzi, territori, destinatari; scardina dalle fondamenta il principio pedagogico della collaborazione collegiale e del lavoro condiviso, configurando una figura di insegnante-monade, che impegna le proprie capacità per costruire una carriera che gli garantisca di prevalere sugli altri economicamente e nella collezione dei crediti; un docente che sceglie le proprie sedi per potersi affermare, cercando rivali meno “pericolosi”, su cui far prevalere la propria “produttività”.
Tutto ciò si chiama concorrenza e libero mercato. Ma con la scuola, con gli studenti, cosa c’entra?
Si tratta, insomma, di una proposta che per il metodo ed il merito non può essere una base nemmeno di confronto (che comunque non è al momento nell’agenda del Governo); è una proposta inemendabile.

Giovedì alle 13 alla Camera una conferenza stampa annuncerà la riproposizione (dopo quella in Senato) della Legge di Iniziativa Popolare per la Buona Scuola della Repubblica: una risposta alla Buona Scuola di Renzi, che – oltre al nome – non ha nulla a che fare con il testo scritto nel 2006 nel rispetto delle norme costituzionali e firmato da 100mila cittadini. Si tratta di una proposta concreta ed articolata che non solo prevede la stabilizzazione dei precari ed un organico adeguato alle reali esigenze della scuola, ma soprattutto delinea un’idea di scuola coerente – come si diceva – con i principi costituzionali della democrazia scolastica e con il ruolo istituzionale che essa deve continuare ad avere. E che invece minaccia di perdere nella illusionistica, superficiale, privatistica visione renziana

E’ necessario però non limitarsi alla denuncia di una proposta palesemente demagogica e volta a mettere in discussione il ruolo istituzionale della scuola statale. Bisogna invece definire le linee di una azione politico culturale che non può essere limitata al mondo della scuola ed alla difesa della Scuola della Costituzione.

La piena aziendalizzazione della scuola con l’esautoramento di ogni forma di partecipazione democratica e di pluralismo culturale non può che essere considerato un aspetto specifico di un più generale attacco alla democrazia del nostro Paese ed in particolare all’assetto istituzionale previsto dalla Costituzione; è in atto da parte di Renzi – di intesa con Berlusconi – un processo di esautoramento del ruolo primario e rappresentativo del Parlamento, trasformato in un organismo di “ nominati” (e che tale continuerà ad essere anche per effetto della legge attualmente in discussione), privo di una effettiva rappresentatività, ma tale da conferire al capo di un Partito il potere di controllare tutte le istituzioni del Paese (Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e Magistratura), con un conseguente indebolimento dei diritti sociali e politici e di ogni forma reale di garanzia.

L’attacco alla scuola della Costituzione rappresenta un’ ulteriore forma di attacco alla democrazia prevista dalla nostra Costituzione. La contestazione della proposta renziana di aziendalizzazione della scuola deve quindi essere, anche, un momento della lotta più generale della difesa della democrazia.

Non può difatti esserci una scuola democratica e pluralista se non c’è una forma di stato democratico e pluralista. Ma non può nemmeno esserci uno Stato democratico e pluralista se non c’è una scuola democratica, la scuola della Costituzione.

E’ necessaria, a fronte di questo progressivo attacco a tutte le forme di democrazia nel nostro Paese, una risposta unitaria; la difesa della Costituzione e dei suoi principi fondativi non può essere affidata soltanto al generoso impegno dei Comitati per la difesa della Costituzione, ma deve essere condiviso e comune; allo stesso modo la difesa della Scuola della Costituzione, dei diritti sociali e civili della Costituzione deve essere priorità per tutte e tutti.