Riforma della scuola,
10 idee per il nostro sistema di istruzione
Abbiamo chiesto a chi lavora a contatto con il
mondo dell’istruzione di raccontarci i “mali” e le criticità della
scuola italiana di oggi. Ecco quello che propongono
Gianluca Dotti,
Wired.it 3.9.2014
Sulla
riforma della scuola, prima annunciata per venerdì scorso dal
premier
Matteo Renzi e poi rinviata a questa mattina per
evitare di mettere “troppa
carne al fuoco“, sono già circolate infinite anticipazioni
e indiscrezioni. E finalmente, sul sito Passodopopasso.it sono stati
pubblicati i passi che il governo e il ministro per l’istruzione
Stefania Giannini
hanno in mente.
Ma di che cosa ha
veramente bisogno la scuola italiana? Quali sono
le vere
criticità, i punti su cui focalizzare l’attenzione e
che davvero necessitano di un cambiamento? Lo
abbiamo chiesto a chi con la scuola – o nella
scuola – ci lavora: ecco, per punti, quello che è emerso in ordine
di priorità.
1. Rivedere lo sviluppo di carriera dei docenti,
Lo si dovrebbe basare sulla meritocrazia e non sull’età. Secondo
Valentina Aprea, assessore alla pubblica
istruzione in Lombardia ed ex sottosegretario alla pubblica
amministrazione, ”la qualificazione professionale non può essere
legata all’età anagrafica e alla burocrazia,
ma deve dipendere solo dalle competenze professionali.
Il reclutamento degli insegnanti attraverso graduatorie non solo è
inopportuno, ma è anche fonte di iniquità perché si sono già
verificati slittamenti di docenti da una provincia o da una regione
all’altra, con scavalcamenti legati ai punteggi“. Più moderato
il pensiero del direttore generale della
Uil scuola Massimo
di Menna, secondo cui ”anzianità ed esperienza sono
criteri validi e oggi presenti nelle graduatorie di tutta Europa
tranne che in Svezia, ma non devono essere gli unici
parametri. Per questo ci piacerebbe un
contratto innovativo che introduca anche altri elementi,
fra cui il valore di carriera“. Anche Luciano Carazzolo,
preside del liceo Galilei di Verona, si schiera contro gli attuali
criteri di selezione degli insegnanti: “Il criterio attuale non
è valido, sia per via del precariato lunghissimo e della frequenza
troppo sporadica dei concorsi, sia per le modalità con cui i
concorsi avvengono. Una riforma del percorso di formazione dei
docenti dedicato, inoltre, va fatta insieme alle università“.
2. Valorizzare e investire sul lavoro degli
insegnanti.
“Chi fa la scuola tutti i giorni con impegno e con
fatica“, ci ha spiegato il segretario generale della
Cisl scuola Francesco
Scrima, ”sta continuando il proprio lavoro con impegno
pur in un
contesto di difficoltà economica e con scarso riconoscimento
sociale. Stabilizzare il personale è un’idea condivisa“. Il
vantaggio? Permette la continuità didattica nella scuola e riconosce
anche le legittime aspettative da parte del personale, dopo anni di
precariato. “L’insegnante determina la crescita delle competenze
dello studente“, spiega invece di Menna, “ma la
retribuzione è ferma da cinque anni, e non ci possiamo
permettere di mantenere bloccato il contratto per altri due“.
3. Aumentare gli investimenti.
“C’è il problema delle risorse, cioè delle
coperture finanziarie“, chiosa Scrima. “Concordo con il
principio di Renzi secondo cui la società tra 10 anni sarà quello
che la scuola fa oggi. La scuola è la fabbrica di futuro, e dobbiamo
investire sul capitale della conoscenza. Poi ci sono gli
investimenti sugli edifici scolastici, soprattutto laboratori e
palestre, perché una buona scuola è anche una bella scuola“.
Peccato che l’Italia sia al penultimo posto in Europa per
spesa pubblica nell’istruzione in rapporto alla spesa
pubblica totale, ricorda di Menna. Aumentare gli investimenti
servirebbe anche, secondo il rettore del Politecnico
di Torino Marco Gilli, a “far accedere
all’insegnamento i giovani con dottorati di ricerca, che
risponderebbero al bisogno di ricambio generazionale e
interromperebbero il blocco del turnover del corpo docente che ormai
dura da troppi anni“.
4. Introdurre un livello di formazione intermedia
tra la scuola superiore e l’università.
In molti Paesi europei come Germania e Svizzera, o nei community
college americani, esiste un livello intermedio tra
la formazione tecnologica del perito e quella dell’ingegnere, quasi
sempre data da un percorso universitario quinquennale Spiega Gilli: ”Anche
se formalmente esistono già gli istituti tecnici superiori, che
prevedono di due anni di studi post-maturità con indirizzo
professionalizzante, queste scuole sono troppo poche
e sono regionalizzate. La formazione tecnica
intermedia, invece, contrasterebbe la dispersione scolastica,
migliorerebbe la formazione dei lavoratori e aumenterebbe le
possibilità di occupazione. Oppure, si potrebbero incentivare le
università professionalizzanti rispetto a quelle dedicate alla
ricerca“.
5. Rafforzare la governance degli istituti.
“Oggi esistono organi collegiali che parlano solo di
partecipazione“, commenta Aprea, “ma le scuole devono
essere messe nelle condizioni di poter creare accordi
e di formare delle reti di istituti“. Dare
maggior peso alle autonomie consentirebbe anche di combattere
l’assenteismo. Come? Attraverso la semplificazione della
burocrazia e con l’introduzione della chiamata dei docenti da parte
delle reti di scuole, anche per evitare che i docenti si debbano
spostare di molti chilometri per fare lezione.
6. Mettere in pratica i provvedimenti già
esistenti.
“Prendiamo come esempio il problema delle supplenze“,
ci ha spiegato Scrima: ”Il bisogno di un organico funzionale non
è una novità. E il provvedimento serve anche per gestire le
supplenze. Anche se esiste già, non è mai stato messo in
pratica per via del veto del ministero, siccome manca
l’autorizzazione alla spesa che l’attuazione
comporterebbe“.
7. Introdurre un sistema di valutazione a
tutti i livelli.
“A partire dai dirigenti scolastici e fino ai docenti“,
propone Carazzolo. “Così come esiste già un sistema di
valutazione delle prestazioni degli studenti, ossia i
test invalsi, è necessario introdurre un criterio per valutare
anche il merito delle diverse figure professionali, per premiare le
eccellenze e apportare interventi migliorativi, non secondo il
principio della sanzione“.
E per quanto riguarda
la maturità? “Le carriere degli studenti“,
spiega Gilli, “al Politecnico sono molto correlate all’esito dei
test di ingresso in università, ma molto meno con il voto di
maturità. Il voto di uscita dalle superiori non è significativo per
valutare la preparazione dello studente, anche
perché ci sono forti disomogeneità tra le diverse scuole superiori.
Non ho notato però una correlazione con la regione di provenienza
degli studenti“.
8. Abbreviare il percorso di studi.
Come ci ha spiegato Scrima, “sulla
parte ordinamentale c’è tutt’ora un dibattito sulla durata
del periodo di studi che risale ai tempi del ministro
Berlinguer, per decidere se far terminare la scuola a 18 o a 19 anni“.
E se per Aprea c’è la necessità di finire le scuole a 18
anni, per recuperare un anno di competitività rispetto agli
altri studenti dei paesi più avanzati, per di Menna dovremmo prima
verificare come procede l’iniziativa sperimentale di un
percorso quadriennale per la scuola superiore che parte già
quest’anno in otto istituti del nostro Paese.
9. Continuare a puntare sulle competenze in
inglese e in informatica.
Questo a partire dell’aumento della copertura wifi
per essere all’avanguardia nella Rete e nell’innovazione,
sostiene di Menna. Per Aprea invece occorre ”rilanciare lo
studio delle lingue straniere e la
digitalizzazione. Un tempo si chiamava ‘informatica‘,
oggi è la ‘didattica digitale’”. Per l’inglese la necessità di
intervenire sembra meno forte, anche se Gilli rileva che per gli
attuali studenti universitari, la
formazione in inglese è migliorata, ma ancora non ha raggiunto
un livello soddisfacente. In ogni caso, però, l’Italia sarebbe già
più avanti rispetto al resto d’Europa, ricorda di Menna: ”quando
si parla di inglese nella scuola elementare, non è una novità,
perché c’era già nella riforma del 1990. E già ora le indicazioni
nazionali parlano di primi approcci alla multimedialità per gli
alunni della scuola primaria”.
10. Dare una dimensione più internazionale
alla scuola.
I periodi di studio all’estero, secondo
Gilli, andrebbero “incentivati già per gli studenti delle
superiori, perché sono un’occasione importante per la formazione dei
giovani. Già ora”, ricorda, “è possibile trascorrere un
periodo
fuori dal nostro Paese anche durante il liceo“.