Più economia a scuola? Sì, ma quale?

di Donato Speroni, Numerus blog del Corriere della Sera 11.9.2014

L’Italia è molto più indietro degli altri Paesi europei nell’insegnamento dell’economia nelle scuole secondarie e i risultati si vedono: i confronti internazionali in materia di alfabetismo finanziario collocano i nostri giovani agli ultimissimi posti tra i Paesi dell’Ocse. Un incontro europeo tra esperti ha però evidenziato che non basta insegnare i meccanismi del sistema economico, perché la crisi pone nuovi interrogativi che non possono essere ignorati. Bisogna insomma affrontare “l’economia del dubbio”, in modo pratico e attuale. La sfida per gli insegnanti diventa ancora più difficile e c’è da sperare che i buoni propositi annunciati dal governo portino a iniziative concrete.

“Insegnare l’economia in un’Europa in crisi”: se n’è discusso ad Aix en Provence dal 27 al 29 agosto, con la partecipazione di circa 150 insegnanti ed esperti di numerosi Paesi europei, su iniziativa dell’Association of European Economics Education (Aeee). Il tema attualissimo era reso ancor più interessante dal fatto che l’oggetto del dibattito non era l’insegnamento accademico, bensì quello che si impartisce nelle scuole secondarie: medie, licei e istituti tecnici, dove molti Paesi possono presentare esperienze interessanti e innovative, mentre l’Italia è certamente in una posizione molto arretrata, testimoniata dai disastrosi risultati delle più recenti rilevazioni internazionali sulla financial literacy. Una sintesi dell’incontro si può leggere in questa relazione di Doris Valente.

L’aspetto significativo, che emerge da molte delle esperienze presentate, è il taglio pratico di questi insegnamenti. Rimandiamo alla documentazione in inglese e in francese accessibile a questo indirizzo, ma citiamo a titolo di esempio il tema di una esercitazione svolta in alcuni licei inglesi.

Messa a punto di un pacchetto di politica economica

A che partito appartieni? O ti identifichi con una posizione tecnocratica?

Identifica i tre temi più importanti che devi affrontare, sulla base dello stato attuale dell’economia.

Indica il pacchetto di misure (almeno tre, ma anche di più) che consideri più adatto per affrontare questi problemi.

Spiega le ragioni che ti hanno indotto a scegliere queste politiche.

È interessante, in questo metodo, il fatto di impegnare gli studenti a identificarsi in una posizione politica: non per etichettare il loro credo personale (che può anche essere diverso dalla posizione che scelgono di rappresentare), ma per costringerli a mettere a punto un insieme coerente di misure che, come è giusto che sia, nascono da una scelta politica, perché è chiaro che la politica economica non è mai neutrale.

In generale, l’orientamento emerso al convegno Aeee è stato quello verso l’insegnamento della “economia del dubbio”: spiegare sì la storia delle dottrine economiche e i principi del funzionamento del “sistema”, ma soffermarsi anche su tutti gli aspetti problematici, aprendosi al dibattito.

Certo non è facile la sfida di insegnare l’economia in un’ottica non puramente aziendalistica e ragionieristica, soprattutto se si vuole farlo in modo non puramente accademico, ma orientato sull’attualità e quindi sulla crisi. Gli insegnanti, oltre a conoscere le basi della teoria economica, devono mostrarsi aggiornati sulle vicende contemporanee, ma al tempo stesso abbastanza distaccati da accogliere e discutere senza pregiudizi tutte le posizioni.

La mia esperienza di insegnante di economia in una scuola di giornalismo mi porta a dire che ci si trova costantemente a fare i conti con due ordini di questioni: da un lato spiegare i “meccanismi” di funzionamento del sistema economico. Dall’altro però esaminare con obiettività e chiarezza anche i grandi indirizzi alternativi (per esempio, pro o contro la globalizzazione, il capitalismo, l’euro) che i giovani conoscono solo per schemi e che contribuiscono alla loro diffidenza verso l’economia. La posta in gioco è importantissima: far capire ai giovani come funziona il mondo.

Nella tavola rotonda conclusiva del convegno ho posto l’aspetto su tre aspetti che a mio avviso non devono essere ignorati e che si intrecciano strettamente con l’insegnamento dell’economia.

1) È necessario preparare i giovani a capire la statistica e il calcolo delle probabilità, privilegiando questo insegnamento ad altri aspetti della matematica.

2) Non ci si può limitare a porre i problemi in termini di crescita economica, ignorando le problematiche (che pure devono trovare spazio nelle scelte economiche) di miglioramento del benessere collettivo “oltre il Pil”.

3) È necessario dare spazio all’analisi dei “megatrend” che stanno forgiando il mondo in cui opereranno da adulti i ragazzi di oggi: demografia, consumi, lavoro, energia, clima, solo per citarne alcuni. Non siamo in grado di determinare uno scenario certo per i prossimi vent’anni, ma è necessario che i giovani siano consapevoli delle prove difficilissime che dovranno affrontare.

Che comunque in Italia si debba fare di più per insegnare l’economia nelle scuole lo dicono ormai in molti. Da qualche anno, nell’ambito dei licei umanistici, è stato creato il Liceo economico e sociale. Ma all’inizio dell’anno scolastico 2013 – 2014 solo il 2% dei nuovi iscritti alle secondarie superiori ha fatto domanda di iscrizione a questo tipo di liceo, con un lieve incremento rispetto all’anno precedente (1,5%) come si può vedere dalla tabella qui in fondo. Come mai questo scarso successo? A parte il fatto che il nuovo liceo non è stato molto pubblicizzato, nonostante alcune lodevoli iniziative, c’è da dire che i licei umanistici sono uno sviluppo dei vecchi istituti magistrali, cioè di un tipo di scuola considerato “di serie B” rispetto ai licei tradizionali. Inoltre esiste un serio problema di qualità degli insegnanti, anche se alcuni ovviamente sono bravissimi. Nel nuovo liceo, perpetuando un orientamento che vale ancora per molti tipi di istituti tecnici, l’economia è insegnata insieme al diritto. Gran parte degli insegnanti ha una formazione giuridica più che una formazione economica. E ricordiamo che mentre per laurearsi in economia si deve studiare diritto, per laurearsi in legge la formazione economica è del tutto complementare.

Insomma, i nuovi istituti non bastano. Sulla voce.info, Enrico Castrovilli e Roberto Fini hanno rilanciato il tema, proponendo che l’insegnamento dell’economia avvenga con gradualità fin dai primi anni di scuola. E il sito del governo “passodopopasso” al punto 10 dei programmi per “La buona scuola” annuncia: “Diffusione dei principi dell’Economia in tutte le secondarie”. L’Aeee Italia si è subito dichiarata pronta ad approfondire la questione. Speriamo.