Buona scuola?

di Enrico Bottero, Pavone Risorse 19.9.2014

“La buona scuola”, questo il titolo accattivante assegnato al rapporto sulla scuola presentato all’inizio di settembre dal Governo. Il documento è un complesso elenco di intenzioni le cui concrete modalità di realizzazione non sono sempre definite. Il quadro generale è tuttavia abbastanza chiaro e permette di individuare la linea di tendenza dell’esecutivo e l’idea di scuola a cui si ispira. Anticipo dunque alcune valutazioni riservandomi di intervenire più avanti a seguito dei prossimi sviluppi. Lo faccio nella speranza di offrire ai lettori qualche utile chiave interpretativa. Ne hanno certamente bisogno anche perché i media, a partire dalla televisione, parlando di scuola, sciorinano quasi sempre discorsi banali e superficiali, segno del disinteresse e dell’ignoranza sull’educazione da parte della quasi totalità dell’informazione non specialistica. Si tratta di un problema serio perché la funzione dell’informazione è centrale in una società aperta e pluralista.

Un dato significativo, anche se apparentemente marginale, per comprendere il testo presentato dal Governo è quello relativo ai suoi estensori. In calce al documento si ricorda che esso è frutto del lavoro di Matteo Renzi e Stefania Giannini, coadiuvati da Alessandro Fusacchia e Francesco Luccisano. I primi due li conosciamo, gli ultimi due sono giovani funzionari dei Ministeri con una brillante carriera nel mondo del privato. Fanno parte di RENA (Rete per l’eccellenza nazionale), un’Associazione composta di giovani dedita alla promozione dell’innovazione e molto vicina al mondo imprenditoriale. Se questo è il pensatoio che ha prodotto il documento (un po’ ridotto, visto il compito così rilevante), incominciamo a comprenderne la logica.

Come vedremo dall’analisi che segue, il documento è mosso da due postulati che, anche se non esplicitamente dichiarati (non lo potrebbero essere vista la loro radicalità e, forse, incostituzionalità), lo attraversano da cima a fondo:

 1.  lo scopo della scuola è quello di preparare al mondo produttivo. Essa non guarda più (non apertamente, ma di fatto)alla sua funzione universale e di riduzione delle disuguaglianze ma si concentra fin dai primi ordini sulla preparazione al mondo del lavoro e la valorizzazione delle eccellenze;

 2.  la conseguenza del primo postulato è che lo Stato, garante del patto di cittadinanza e perciò per sua natura super partes, si ritrae dal campo dell’educazione e limita la sua funzione al compito di creare le condizioni perché gli attori sociali (scuole autonome, imprese, fondazioni, volontariato, ecc.) si organizzino per raggiungere lo scopo di cui al punto 1. La scuola non è più un’Istituzione e neppure un servizio realmente universale ma un Impresa al servizio di altre imprese (e dunque del lavoro di domani, come suggerisce il titolo di uno dei capitoli, “Fondata sul lavoro”, che allude alla Costituzione proprio nel momento in cui se ne allontana).

 Il documento porta a compimento l’adesione ad un modello neoliberale già presente nelle premesse di un percorso iniziato più di 20 anni fa. La svolta principale è stata l’autonomia scolastica attuata nelle forme e modalità decise dai governi di allora, in particolare dal Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (v. il mio “Autonomia scolastica: breve cronistoria di una riforma”). Quali sono i punti cardine del progetto di questo Governo? Vediamoli brevemente……………………..

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