Sarà la #voltabuona
per #labuonascuola e #unadidatticanuova? O, a colpi di slogan e
hashtag, l’istruzione post riforma farà il passo avanti e i tre
indietro che fino ad oggi hanno inchiodato la scuola italiana
all’analfabetismo digitale? Il tema è di non poco conto. Dopo anni
di tentativi e piani per portare le tecnologie in classe, anche il
governo Renzi parla di una robusta iniezione di digitale. Spostando,
però, la barra del timone: «Il processo di digitalizzazione – ha
detto il premier presentando il suo disegno per una nuova scuola - è
stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche, ma
anche perché si è investito in tecnologie «pesanti» (Lim e tablet,
ndr), che hanno drenato risorse, ingombrato le classi, spaventato
docenti non preparati». Ora si cambia: gli investimenti saranno
dirottati su reti, connessione a Internet veloce, open data.
Cablare le scuole costa 7,9 euro al mese
per ogni studente
Nessuna
previsione di spesa, nel «libro delle intenzioni». Ma a fare i conti
ci ha pensato il Censis: «Servono 650 milioni di euro all’anno, dei
quali 184 milioni per la connettività, 274 milioni per la sicurezza
e 192 milioni per infrastrutture e apparecchi tecnologici», ha
scritto ieri l’istituto di ricerca, nel numero 8 del «Diario della
transizione». Tradotto in costo medio, il Censis stima una bolletta
per Internet veloce nelle scuole di 7,9 euro al mese a studente. Da
finanziare con nuovi impegni di spesa sul bilancio dello Stato o
delle amministrazioni territoriali, o con un maggior coinvolgimento
dei privati. Pochi mesi fa era stata Glocus - il think tank
presieduto da Linda Lanzillotta (Scelta Civica) che elabora analisi
e valutazioni per il ministero - a quantificare in 400 milioni di
euro la spesa per avere la connessione veloce in tutte le aule.
Infrastrutture e banda larga sono «essenziali, come l’acqua e la
luce», dice Marco Galvani, già consigliere sul digitale a scuola per
il ministro Profumo, docente alla Sapienza di Roma e direttore area
innovazione di Glocus. «Dovrebbero essere obbligatoriamente previste
nei bandi per la costruzione di nuove scuole e finanziate con il
piano di investimenti per l’edilizia scolastica».
Un’aula su due scollegata
Ma la strada sarà
lunga: oggi solo il 10% delle scuole primarie e il 23% delle
secondarie sono connesse a Internet con rete veloce (superiore a 30
Mbps). Le altre sono collegate a bassa velocità e spesso si naviga
solo dalla segreteria o dal laboratorio tecnologico, se c’è. In
un’aula su due, al web non si accede. L’uso di Cloud dedicati a
insegnanti e studenti è frutto di sforzi pionieristici e volontari
di alcuni insegnanti. E per quanto riguarda l’hardware, i tablet
disponibili per uso individuale sono appena 14mila. Il registro
elettronico – ha calcolato Skuola.net - è usato in classe dal 37%
dei docenti, anche se a farne un uso misto (elettronico e cartaceo)
sono il 70%. E nell’Agenda Digitale si legge che «il 90% dei
contenuti in classe viaggia ancora su carta e solo il 16% degli
studenti può avvalersi di un setting didattico innovativo». Non che
si sia a digiuno di innovazioni e di sperimentazioni, ma quello che
è stato fatto negli anni non è organico e non è completo. Si sono
riempite le scuole di lavagne interattive (ce ne sono 72mila, a
disposizione di circa 300mila classi, in 22mila scuole). Si sono
attrezzate di tecnologia (computer e dispositivi mobili) 1.300 «Cl@ssi
2.0». Una trentina di scuole sono diventate «2.0»: hanno subito cioè
una trasformazione radicale della didattica e dell’ambiente di
apprendimento.
L’Ocse: siete in ritardo di 15 anni sul
wireless
E’ dal 2007 che
si cerca di ammodernare il modo d’imparare. Ma sin qui lo si è fatto
con fondi insufficienti: il Piano Nazionale Scuola Digitale ha
ricevuto finanziamenti, tra il 2007 e il 2011, per 110 milioni di
euro; altri 20 (più 20 dalle Regioni) nella Fase Due (tra 2012 e
2014). A questi vanno aggiunti i 15 milioni del progetto «Wireless
nelle scuole» (di cui beneficeranno 1.500 scuole, delle 3.800 che
han fatto domanda), voluto dal ministro Carrozza nel 2013 e che si
concluderà nel 2015; e il piano di formazione dei docenti: 600mila
euro per la costituzione di 38 poli formativi nelle Regioni, che
organizzeranno corsi partendo dalle esigenze del territorio.
Sommando tutto, fa meno dello 0,1% della spesa pubblica per
l’istruzione. l’Ocse ha stigmatizzato il gap infrastrutturale
quantificando in 15 anni il ritardo rispetto a Paesi più convinti
dell’importanza delle tecnologie, come la Gran Bretagna; mentre la
Commissione europea ha sottolineato che il nostro Paese ha la più
bassa disponibilità di accesso alla banda larga della Ue.
La rivoluzione dal basso dei libri
autoprodotti e messi in rete
Di scuole più
«connesse» beneficerebbero l’amministrazione, l’organizzazione del
personale, i rapporti con le famiglie (pagelle, iscrizioni,
prenotazione di colloqui); ma soprattutto la didattica. Che sta già
cambiando, con rivoluzioni dal basso, come quella avviata a
Brindisi, cinque anni fa, all’Itis Majorana, dove il preside
Salvatore Giuliano iniziò a scrivere (e a far scrivere agli
insegnanti) libri scolastici da mettere a disposizione degli
istituti che aderiscono al progetto «Book in progress». Manuali da
utilizzare in modalità ebook, con tanto di materiale audio, video e
schede di verifica, o che si possono stampare per pochi euro. Oggi
sono 200 le scuole coinvolte, 800 insegnanti. Un’intuizione che ha
anticipato il contenuto della circolare dell’aprile scorso, che pone
l’obbligo di adottare nuovi testi solo in formato digitale o misto –
digitale e cartaceo - e invita le scuole a usare testi autoprodotti.
Una previsione facile per i tecnoentusiasti alla Giuliano. Meno, per
i tanti analfabeti digitali che salgono in cattedra. E qui entra in
gioco uno dei mantra della riforma: formazione continua. Quella che
assicurerà crediti per progredire nella carriera. E che dovrà
essere, appunto, «continua, aperta, incentrata sulle figure dei
mentor: docenti esperti che assumano ruoli di guida e coordinamento
per i colleghi». Come accade al Majorana, che organizza anche summer
school per aiutare i docenti a familiarizzare con le tecnologie.
«Non occorre la patente europea del computer – dice Giuliano – ma
imparare a usare i vari dispositivi nella pratica quotidiana». E
neppure la banda larga, secondo lui, è indispensabile: «Se hai i
contenuti puoi affrontare l’argomento anche senza una connettività
enorme. È quando non ce l’hai che le cose si complicano».
Programmatori in erba
Nelle linee guida del Governo ci sono poi novità importanti per l’alfabetizzazione digitale: cruciale, c’è scritto, l’obiettivo di trasformare i ragazzi da semplici fruitori passivi a creatori di contenuti digitali. A questo si potrà arrivare con l’implementazione nelle scuole del progetto internazionale Code.org, che aiuterà i bambini, già dalle elementari, a sviluppare la logica, imparare cos’è un algoritmo, risolvere problemi complessi, e magari programmare semplici app o videogiochi. E anche nelle secondarie l’obiettivo è promuovere l’informatica per ogni indirizzo scolastico, dando a ogni studenti l’opportunità di «acquisire consapevolezza digitale»: che vuol dire usare in maniera critica social network e open data, usare materiale multimediale per raccontare una storia o costruire un’inchiesta, gestire le dimensione della sicurezza e della riservatezza in rete, o stampare in 3D.