Scuola e politica/1. TuttoscuolaNews, n. 649 22.9.2014 La politica scolastica, insieme a quella del lavoro, sembra essere diventata la cartina al tornasole della nuova identità che Matteo Renzi intende dare al partito di cui è il segretario, il Pd, per il tramite del governo di cui è presidente. Un’identità apertamente riformista, che si pone in discontinuità e in polemica con gli equilibri politico-sociali preesistenti e i loro difensori, accusati in blocco di conservatorismo. Tra i bersagli polemici di Renzi stanno soprattutto i sindacati, soprattutto la Cgil, la cui leader Camusso ha reagito con durezza: “Il nostro presidente del Consiglio ha un po’ troppo in mente il modello della Thatcher”, ha detto, ricevendo in cambio una vera dichiarazione di guerra: “Noi non pensiamo a Margaret Thatcher, ma a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni. Ai condannati ad un precariato cui il sindacato ha contribuito preoccupandosi solo dei diritti di alcuni e non dei diritti di tutti”. Preoccupandosi, cioè, dei diritti dei soli occupati contrattualizzati, garantiti e blindati da norme come l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, e non di quelli, soprattutto i giovani, rimasti fuori del circuito protetto. Tradotto nell’ambito della politica scolastica la replica di Renzi significa che a suo giudizio i sindacati della scuola non si sono mai davvero preoccupati dei precari, avendo privilegiato in primo luogo la difesa dei salari degli occupati a tempo indeterminato, come mostra la battaglia per il recupero degli scatti di anzianità: proprio quelli che la ‘Buona Scuola’ di Renzi vuole sostituire con gli scatti di competenza legati al merito, e per di più solo per due terzi dei docenti. Mentre per i precari è pronta l’assunzione di quasi 150.000 unità di personale per iniziativa diretta e unilaterale del governo, che ha anche bloccato il rinnovo dei contratti del pubblico impiego fino al 2018. Vorremmo osservare che il modello cui sembra ispirarsi il premier Renzi non è tanto quello della conservatrice e rivoluzionaria Thatcher quanto quello del socialdemocratico e riformista Schroeder, che rivide le regole troppo rigide del welfare e del mercato del lavoro in Germania con determinazione e coerenza, pagando lo scotto di un duro scontro con una parte dei sindacati e di una scissione della SPD, con l’uscita dal partito dell’ala sinistra guidata da Oskar Lafontaine. |