Carriera docenti "vietata" alle insegnanti-madri?

Reginaldo Palermo, La Tecnica della Scuola 9.10.2014

Per maturare i crediti necessari per ottenere lo "scatto di competenza" triennale bisogna ovviamente essere in servizio. Quindi fare un figlio e usufruire dei permessi previsti dalla legge diventerà un "lusso": chi vorrà permetterselo dovrà rinunciare agli aumenti.

Il capitolo più complesso (e anche il più contestato) del “Piano scuola” di Renzi e Giannini è certamente quello relativo alla cosiddetta “valorizzazione del merito”.

Molte delle critiche fin qui formulate ci sembrano però più di carattere generale (politico-ideologico) che non di contenuto.

I “non è giusto premiare il 66% e lasciare a bocca asciutta il restante 34” si sprecano anche se poi quasi nessuno se la sente di dire che neppure dare a tutti nella stessa misura (sia a chi lavora con scrupolo e coscienza sia a chi fa lo stretto indispensabile) va nella direzione della giustizia e della equità.

A noi pare che il punto di maggiore criticità sia legato alla reale applicabilità del progetto che Renzi e Giannini hanno in mente.

I nodi sono tanti, ne segnaliamo uno che da solo basterebbe già a costringere gli ideatori del progetto a ritornare sui propri passi.

Ora,nel documento “La buona scuola” si dice che si potranno ottenere gli “scatti di competenza” maturando crediti formativi, didattici e professionali che – a loro volta – sono ovviamente legati, in larga misura, alla effettiva presenza in servizio.

Per esempio si matura un credito professionale svolgendo il compito di collaboratore del dirigente o di funzione strumentale o ricoprendo altri incarichi analoghi.

Proviamo allora ad immaginare cosa può accadere ad una insegnante che decida di avere un figlio e di prendersene cura direttamente fino al compimento di un anno di età del piccolo.

I conti sono presto fatti: l’insegnante non avrà neppure la possibilità di mettere insieme i crediti necessari per “concorrere” alla quota del 66%.

Se poi quella stessa insegnante dovesse mai decidere di avere un secondo figlio, capiterà che per due trienni non potrà in nessun caso aspirare ad un aumento stipendiale.

Ma la Repubblica Italiana non dovrebbe tutelare famiglie e maternità?

Perché mai allora la donna che decide di “metter su famiglia” dovrebbe essere penalizzata?

Sarebbe interessante sapere cosa rispondono i politici, sempre pronti a pronunciare i soliti slogan triti, ritriti e inapplicati, sull’importanza della famiglia e sul ruolo decisivo delle donne nella società.