Tre miliardi l’anno, tanto costerà la stabilizzazione in blocco di tutti gli insegnanti precari iscritti nelle Graduatorie a esaurimento (Gae): 140 mila docenti che il governo Renzi si è impegnato ad assumere nel 2015 insieme all’ultima tranche di vincitori e idonei del concorso Profumo del 2012 (7.500 persone, senza contare quanti fra i precari hanno superato anche quest’ultima prova). Ma chi sono questi prof che dovrebbero costituire l’ossatura di quella Buona Scuola che il governo ha promesso a milioni di famiglie italiane?
Età media
Iniziamo con il dire chi non sono: non sono insegnanti freschi di laurea e abilitazione perché le graduatorie sono chiuse dal 2007. I più giovani sono i maestri laureati in Scienze della formazione primaria, ma il grosso è rappresentato dai vincitori del penultimo concorso (parliamo del 1999!) e dagli abilitati di vecchio conio (Ssis e abilitazioni riservate). L’età media è 41 anni: meglio dei docenti di ruolo (che con i loro 51 anni di media sono i più vecchi dell’area Ocse) ma non proprio un’iniezione di giovinezza. Per i più giovani, ha fatto sapere il ministro Stefania Giannini, ci sarà posto nel prossimo concorso che verrà bandito nel 2015: in palio 40 mila posti per il triennio 2016-2019, circa 13 mila all’anno: pochini se si considera che secondo le previsioni del ministero vi prenderanno parte quasi 200 mila persone.
Fuori servizio
Giovani o no, i precari storici sono tutti docenti che hanno maturato un diritto nei confronti dello Stato dopo anni di supplenze e sacrifici. Un debito che il governo si sta affrettando a onorare prima di essere condannato a pagare multe salatissime dalla Corte di giustizia europea per violazione del diritto comunitario (la direttiva 1999/70/CE prevede l’assunzione in via definitiva per tutti i dipendenti che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio).
Sacrosanto, salvo che non tutti sono ancora in trincea. Alcuni di loro, stremati dall’attesa, hanno mollato il colpo da tempo. Lo ammette anche il documento che traccia le linee essenziali della Buona Scuola di Matteo Renzi. «Sappiamo che negli ultimi tre anni circa 43 mila persone iscritte nelle Gae non hanno effettuato né supplenze annuali o sino al termine delle attività didattiche né supplenze brevi».Subito dopo si precisa che si tratta di un dato grezzo che non tiene conto di chi nel frattempo ha lavorato nelle scuole paritarie. Ma c’è un modo abbastanza semplice per depurarlo: basta guardare nelle graduatorie a esaurimento il cosiddetto punteggio di servizio. È quanto hanno fatto gli ingegneri informatici di Voglioilruolo, la piattaforma digitale nata nel 2009 per offrire ai docenti precari una serie di servizi utili come l’indicazione di dove fare domanda per essere assunti prima. Ebbene: gli iscritti alle Gae che non hanno fatto supplenze negli ultimi tre anni né nelle scuole statali né nelle paritarie sono 26.685, pari a quasi il 20 per cento del totale. In altre parole, quasi un insegnante su 5 non insegna più da tempo.
Diritti dei prof e diritti degli studenti
Possibile, come si augura il documento renziano, che molti di loro rinuncino al posto avendone già un altro, magari anche scoraggiati dal fatto di poter essere destinati a province e regioni diverse dalla propria. Per questa ragione il Ministero dell’Istruzione ha avviato un censimento che si concluderà entro il 31 dicembre. Ma è altrettanto probabile che la prospettiva di un posto a tempo indeterminato alletti anche molti di coloro che avevano alzato bandiera bianca e nel frattempo hanno fatto altro. E che a settembre potrebbero arrivare a scuola per lo meno un po’ arrugginiti.
La questione, delicatissima, è che il diritto maturato dai precari della scuola non entri in collisione con il diritto altrettanto importante dei nostri ragazzi a un’istruzione di qualità e al passo con i tempi. Quanti dei prof iscritti nelle graduatorie possiedono quelle competenze di informatica e inglese che sono invece richieste dalla legge Profumo per essere ammessi al concorso a cattedra? Moltissimi candidati all’ultima prova nazionale sono stati esclusi proprio perché non avevano passato la batteria di test preselettivi incentrati, oltre che sulla logica e sulla comprensione del testo, proprio su informatica e conoscenza di una lingua straniera.
Nel caso specifico dei maestri elementari, meno della metà degli
iscritti alle Gae ha l’idoneità per insegnare anche l’inglese (il
43,6%, secondo Voglioilruolo). Figuriamoci quanti sono in grado di
insegnare una materia in lingua con il metodo Clil (Content and
language integrated learning) come pure auspica Renzi in modo che «i
nostri figli — ha detto il premier — non parlino l’inglese come me».
Già alle superiori si è partiti quest’anno nel caos perché i corsi
di formazione stanno andando a rilento.
I soldi che non ci sono
E qui veniamo al vero nodo della Buona Scuola che, giustamente, punta moltissimo sul potenziamento della formazione di vecchi e nuovi prof. Una necessità che con gli attuali chiari di luna contabili appare quanto meno problematica. Lo si è visto con la legge di Stabilità: per mettere a bilancio il primo miliardo che serve a coprire gli stipendi dei 150 mila neoassunti solo fino a dicembre 2015 sono saltati sia i 100 milioni necessari per raddoppiare le ore di alternanza scuola-lavoro sia i 15 per potenziare il WiFi. Con quali soldi il governo immagina di poter formare domani e negli anni che verranno questo esercito di insegnanti?