Ma non chiamiamola meritocrazia

Lucio Ficara, La Tecnica della Scuola 20.10.2014

Il modello di sviluppo di carriera proposta nel documento "Buona Scuola" è tutto ma non va certamente nella direzione di premiare il merito dei docenti.

Ma cosa pensano davvero gli insegnanti, che rappresentano il cuore pulsante della nostra scuola pubblica, dell’introduzione della meritocrazia, secondo il modello proposto nel documento della buona scuola?

Dagli umori raccolti dalla rete web, ma anche per avere ascoltato l’opinione di qualche bravo docente, sembrerebbe prevalere un’aria di forte pessimismo, sul fatto che si tratti di vera meritocrazia.

Il sistema degli scatti di competenza che potranno essere incassati, sempre se ci dovessero essere le risorse, non prima della fine del 2018, non convince proprio nessuno. Circola l’idea diffusa che non saranno i docenti più intelligenti, carismatici, creativi, ricchi intellettualmente e didatticamente ad essere riconosciuti meritevoli, ma piuttosto, quei “muli da lavoro” disponibili a fare svariate ore eccedenti di supplenza, in assenza dei prof assenti, disponibili a svolgere progetti, corsi di potenziamento e recupero, disponibili a fare orientamento in entrata ed in uscita, disponibili a lavorare non stop per garantire, attraverso la loro immensa disponibilità e generosità, il funzionamento della scuola. Ma anche quei docenti, che oltre ad essere sempre disponibili, sono totalmente acquiescenti al dirigente scolastico e "non rompono mai le scatole".

Appare, secondo l’opinione di alcuni insegnanti, che questa meritocrazia, almeno secondo l’accezione che sembrerebbe essere scritta nel documento “La Buona Scuola”, si basi principalmente su una fortissima disponibilità di tempo e sulla quantità del servizio svolto. In buona sostanza più il docente si sacrifica per la scuola, gratuitamente e volontariamente, più avrà probabilità ad entrare in quello che possiamo ironicamente definire l’ ”Olimpo” dei docenti meritevoli della scuola.

Ma se questo fosse il percorso per potere accumulare crediti didattici, formativi e professionali, in modo da potere ambire ad una progressione stipendiale, allora non si potrebbe certamente parlare di meritocrazia. Per favore non chiamatela meritocrazia, la meritocrazia è un’altra cosa! Questo modello si potrebbe meglio definire come “dirigentocrazia autonoma”, dove tutto dovrebbe ruotare intorno al “dominus” che utilizzerà al meglio la disponibilità delle risorse umane che potrebbero progredire di classe stipendiale. Ma siamo certi che uno scenario del genere possa dar vita ad una scuola migliore di quella odierna? E poi chi non potrà essere disponibile a scuola, per le esigenze del proprio datore di lavoro, per motivi di maternità, malattia, studio, rischierà di non vedersi riconosciuto meritevole? I rischi di generare caos, contenzioso, disgregazione collegiale, clientelismo e diaspore culturali, con questo nuovo sistema che insistono a chiamare meritocratico, è altissimo. La politica decida ciò che ritiene più opportuno, ma per favore non chiamatela meritocrazia.