Le idee del governo su cosa
si dovrebbe imparare nella “buona scuola”
Il governo non promette di cambiare l’impianto
educativo-culturale della “buona scuola”. Propone invece la sua
manutenzione e nel documento non mancano spunti per la realizzazione
pratica, ma l’approccio non è molto sistematico. Ci sono inoltre
questioni cruciali, di cui non si parla
di Mario Fierli,
Education 2.0 13.10.3014
Il documento sulla “buona scuola” non è un progetto di riforma.
Infatti (Punto 4) punta alla piena realizzazione degli ordinamenti
vigenti e al miglioramento di alcuni loro meccanismi (come i
passaggi da un livello ai successivi). Quindi niente ridefinizione
dei profili educativi e culturali, delle competenze e degli
obiettivi delle discipline. Tuttavia il documento si occupa in
qualche modo di piani di studio, accenna a un modello curricolare da
realizzare con l’autonomia, e, in ultima analisi, fa emergere anche
una scelta culturale. Vediamo come, riferendoci a due punti del
documento: Ripensare ciò che
s’impara a scuola (4) e
Fondata sul lavoro (5).
Saperi da rinforzare
Sono sei gli specifici aspetti/discipline carenti e da rinforzare
nei piani di studio: musica, arte, lingua straniera, educazione
fisica, economia e informatica.
Come farlo e in quali ordini di scuole non è chiarissimo. In alcuni
casi (arte nel biennio dei
licei, musica in IV e V
elementare, educazione fisica
nelle elementari) si parla di “introdurre” una o più ore di
discipline, attualmente non previste o di rinforzo di discipline
esistenti, ricorrendo a competenze reperibili nelle nuove
assunzioni. In altri (lingua straniera, economia, informatica) non
s’indicano soluzioni specifiche.
La parte dedicata all’informatica è forse l’unica in qualche modo
nuova e sposa le tesi di recenti movimenti socio-tecnici: puntare
sulla formazione di una generazione di “makers” dotati della
capacità e della mentalità necessaria per risolvere problemi
mediante la creazione di nuove applicazioni delle tecnologie.
Invece non si dice nulla su un problema enorme, molto dibattuto e
largamente irrisolto: il ruolo della scuola nell’educazione all’uso
sensato ed efficace dei comuni strumenti informatici, nella vita,
nel lavoro e nell’apprendimento. E di questo occorrerà discutere più
a fondo.
Un accenno di modello curricolare
In generale si propone, in modo informale, il modello del curricolo
a strati: un nucleo di saperi essenziali e un’area variabile con
diverse funzioni (approfondimenti, nuove discipline, ecc.). Si ha
l’impressione che tutto il curricolo, inclusa l’area variabile, sia
vista essenzialmente come un gioco nello scacchiere delle
discipline. Se si debbono prendere sul serio i richiamo alla
creatività e al problem solving, invece, occorre parlare di metodi e
strategie didattiche: impegno in progetti complessi essenzialmente
interdisciplinari, apprendimenti basati sull’indagine,
individualizzazione e/o lavoro in piccoli gruppi e quant’altro le
esperienze più avanzate ci hanno insegnato.
Qualcosa che nel documento non c’è
La scuola, oramai da tempo, non è l’unico luogo in cui si
acquisiscono conoscenze e in cui si propongono contenuti e
linguaggi. Molti di questi, forse la maggior parte, vengono proposti
altrove. Si parla emblematicamente di Internet, ma ci sono infiniti
contesti e situazioni in cui si apprende anche se in modo informale
o non formale.
Qualcuno ha suggerito la metafora di ecosistema dell’apprendimento.
La scuola è il punto forte di questo ecosistema e, proprio per
questo non deve creare barriere difensive né consegnarsi
passivamente, senza una strategia, agli stimoli esterni. Deve dare
agli studenti gli strumenti per muoversi in modo sensato ed efficace
nella società della comunicazione e della cultura e, nello stesso
tempo, incorporare nelle proprie pratiche gli strumenti che essa
offre. È un’impresa decisiva che richiede la cooperazione fra la
scuola e una grande varietà di soggetti (istituzioni di ricerca,
musei, imprese, organizzazioni di comunicazione di massa) e una
specifica politica di governo.
L’autonomia
Per raggiungere gli obiettivi del miglioramento e della piena
realizzazione dei curricoli si punta sull’attuazione totale
dell’autonomia perché, si afferma, ciò che s’impara a scuola dipende
più dalla piena capacità delle scuole di organizzare le proprie
risorse che da imposizioni. È un’affermazione condivisibile, anche
perché nessuno si aspetta più dall’alto modelli didattici e percorsi
standard: le scuole più attive chiedono solo più spazi di
progettazione curricolare e più risorse. Il problema è se davvero si
può realizzare un’attuazione “totale” dell’autonomia.
Il documento rimanda alle nuove politiche del personale e in
particolare a quell’organico dell’autonomia, (o organico funzionale)
di scuola o di rete, da realizzare con le nuove assunzioni. È appena
il caso di ricordare che non basta avere una “riserva” di personale,
ma è anche necessario avere regole credibili su come impiegarlo e,
in particolare, chiarire il rapporto fra docenti in cattedra e
docenti fuori cattedra.
Il documento riconosce che l’accoppiata classi di concorso/cattedre
è un vincolo, ma non si accenna a come allentarlo.
Afferma poi che le norme per l’autonomia didattico-curricolare già
ci sono e basta attuarle. Cita ad esempio la possibilità di
modificare fino a 30% il piano di studi dei licei. Non ricorda
invece che, curiosamente, negli istituti tecnici non solo la
percentuale di modifiche è più bassa, ma i vincoli posti sono tali
da renderle praticamente impossibili.
Occorre però fare un’osservazione di fondo e porre una domanda.
L’articolo 8 del DPR 15/3/1999 sull’autonomia scolastica non propone
la soluzione, poi diventata prassi, della modifica dei piani di
studio nazionali da parte delle scuole, ma propone una soluzione
molto più semplice e radicale: Le
istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta
formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da
integrare, a norma del comma 1, la quota definita a livello
nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e
le attività da esse liberamente scelte. È ovvio che avere
carta bianca per scrivere qualcosa è molto più semplice che
modificare qualcosa già interamente scritto. Non era il caso, vista
l’enfasi del documento sulle soluzioni strutturali, di ricordarselo?
Il lavoro
Il riferimento al lavoro come orizzonte culturale e come mezzo della
formazione è molto enfatizzato. Gli strumenti proposti
(dall’alternanza alle pratiche di lavoro dentro la scuola) in realtà
sono già stabiliti e praticati da tempo. Anche alcuni che, come la
“vendita” dei prodotti e dei servizi, ebbero momenti forti molti
decenni fa negli Istituti Tecnici. Si prospetta comunque una
politica generale di nuove risorse dedicate e di alleanze.
Le attrezzature e i laboratori
L’enfasi sul lavoro e sulla cultura della produttività, ma anche
sull’attitudine al problem solving, porta naturalmente a discutere
della struttura e del ruolo dei laboratori. Il documento assume un
punto fondamentale fra quelli emersi in dibattiti recenti: la fine
dei laboratori rigidamente legati a singole discipline e lo sviluppo
di ambienti-laboratorio interni ed esterni alla scuola, basati su
tecnologie avanzate (si citano molto le stampanti 3D) e adatti allo
sviluppo di progetti complessi. Occorre però un ragionamento
completo, anche questo già fatto più volte, sulla creazione di
ambienti fisici attrezzati in modo leggero e flessibile, capaci di
favorire anche una laboratorialità diffusa in tutte le discipline.
Per concludere
La strategia per la Buona Scuola è quella del “cacciavite”: si
propongono aggiustamenti rispondendo a problemi da tempo sollevati
da molti, ma soprattutto facendo i conti, in termini di personale,
con quello c’è (o meglio che ci sarà). Ma c’è anche un’opzione
culturale abbastanza chiara: mettere al centro della formazione la
capacità di risolvere problemi, essere produttivi, in particolare
con l’uso delle tecnologie avanzate, avere il lavoro come orizzonte.
Un punto poco chiaro è se, a parte il forte coinvolgimento degli
Istituti tecnici e professionali, si vuole introdurre questa cultura
anche nei licei. Se si vuole credere che questa scelta sia un
principio educativo generale per tutti i giovani e tutti gli strati
sociali, si deve dire di sì. Altrimenti si tratta essenzialmente di
rafforzare il classico dualismo fra “quelli che debbono riflettere
sul mondo” e “quelli che lo debbono far funzionare”. Dualismo che è
stato invece ribadito nell’ultimo riordino. Basta pensare alla lotta
(vittoriosa!) di gran parte degli opinionisti contro il concetto di
competenza nei licei e alle indicazioni per il loro riordino.
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