La Crusca boccia il CLIL Tuttoscuola, 6.10.2014 Il CLIL (Content and Language Integrated Learning), cioè l’insegnamento in una lingua straniera – di fatto l’inglese – di una materia non linguistica (due nei licei linguistici), fa il suo debutto quest’anno nelle quinte classi dei licei e degli istituti tecnici secondo quanto previsto dai DPR n. 88 e 89 del 2010, attuativi della riforma Gelmini della scuola secondaria di secondo grado. La normativa non è stata modificata dai tre governi e ministri della PI (Profumo, Carrozza, Giannini) che si sono succeduti dopo l’uscita da viale Trastevere di Mariastella Gelmini, e dovrebbe essere pienamente operativa dall’anno scolastico corrente. Dovrebbe, perché le difficoltà pratiche sono note, e nel frattempo si sono levate molte voci critiche non solo sulla fattibilità del CLIL ma anche sulla sua utilità nella scuola secondaria. Voci non ascoltate dai tre ministri-rettori (di cui due di formazione tecnico-scientifica, con vasta esperienza internazionale in ambienti anglofoni e uno, la Giannini, linguista e rettore dell’università per stranieri…), ma che ora tornano con forza a farsi sentire. Per esempio quella dell’Accademia della Crusca, massima autorità linguistica del nostro Paese, il cui presidente Claudio Marazzini, ampiamente ripreso da Paolo Di Stefano nel supplemento domenicale ‘La lettura’ del Corriere della Sera (5 ottobre) sostiene che “Indebolire l’insegnamento disciplinare, lasciando credere che così si impara l’inglese ‘passaporto per il mondo’ è un errore grave che rischia di compromettere la competenza solida nei contenuti, quella che ha permesso tutto sommato in questi anni la cosiddetta ‘fuga o esportazione dei cervelli’. Se quei cervelli hanno trovato ospitalità altrove, non è per i loro meriti nella conoscenza dell’inglese, ma semmai per la capacità dimostrata nelle varie discipline che professavano”. Ci sembra che lo studioso abbia qualche ragione: quali vantaggi ci sarebbero nell’insegnare e apprendere materie come storia dell’arte o filosofia o per assurdo lo stesso italiano in inglese? Caso mai andrebbe rafforzata la lingua nazionale, anzi ‘ufficiale’ del nostro Paese, l’italiano. Numerosi studi dimostrano che il saldo possesso della lingua materna condiziona anche la qualità dell’apprendimento delle altre discipline, comprese quelle scientifiche e le stesse lingue straniere. Intanto, come misura d’urgenza, si potrebbe restringere il CLIL a un numero ben definito di materie tecniche dove l’uso dell’inglese è dominante a livello internazionale. Sempre che il relativo docente padroneggi l’inglese - se non perfettamente come sarebbe doveroso - almeno un po’ più dei suoi alunni… |