Il contributo economico delle famiglie non è obbligatorio, ma senza le scuole non ce la fanno di Franco Portelli, Il Sole 24 Ore 16.10.2014
Diverse scuole, a causa della scarsità di risorse finanziarie,
chiedono un contributo economico alle famiglie. I genitori sono
chiamati a pagare anche un bollettino intestato alla scuola per il
pagamento di un contributo la cui cifra, in alcuni casi, è
consistente (può superare i 100 euro per alunno). Si tratta di
contributi che dovrebbero essere finalizzati all'innovazione
tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta
formativa e che, in alcuni casi sono utilizzati dalle scuole per far
fronte a spese ordinarie: piccola manutenzione, fotocopie, pulizie.
Ci sono costi, però, come l'assicurazione obbligatoria degli alunni,
il costo materiale delle pagelle o il libretto di assenze, che le
scuole anticipano per conto delle famiglie.
La legge finanziaria per l'anno 2007 (L. 296/06 art. 1 comma 622) ha
innalzato l'obbligo scolastico a 10 anni e, in ogni caso, fino al
sedicesimo anno di età. Essendo la scuola dell'obbligo gratuita, le
famiglie devono esercitare il diritto-dovere all'istruzione per i
propri figli. Sulla base di tale principio il contributo scolastico
richiesto si scontra con l'obbligatorietà e la gratuità riconosciuta
anche alle scuole superiori. Lo stesso articolo 34 della
Costituzione prevede che l'istruzione è obbligatoria e gratuita.
Alle scuole non è consentito chiedere contributi “obbligatori” alle
famiglie per l'espletamento delle attività curriculari e neanche per
quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (materiale
didattico o altro). La scuola può, invece, chiedere rimborsi delle
spese sostenute per conto delle famiglie (per esempio costi per gite
scolastiche, per l'assicurazione obbligatoria e altro) previa
delibera del Consiglio di istituto. Eventuali contributi, richiesti
dalla scuola, finalizzati all'arricchimento dell'offerta culturale e
formativa degli alunni, sono legittimi solo nella misura in cui gli
stessi sono richiesti esclusivamente su base volontaria.
Vi sono naturalmente tasse che devono essere comunque pagate dalle
famiglie. Ad occuparsi delle tasse scolastiche è il Dl 297/94 che
prevede: la tassa di iscrizione (di 6,04 euro), la tassa di
frequenza (15,13 euro) che deve essere pagata per intero anche nel
caso che l'alunno si ritiri dalla scuola, la tassa di esame che deve
essere corrisposta esclusivamente nella scuola secondaria superiore
che varia a seconda si tratti di esami di idoneità, integrativi, di
licenza, di qualifica, di Stato, ed infine la tassa di diploma
(15,13 euro) che deve essere corrisposta in unica soluzione, al
momento della consegna del titolo di studio. L'esonero dalla tasse
scolastiche può essere consentito per merito, per motivi economici,
e per appartenenza a speciali categorie di beneficiari. Questi tipi
di esonero valgono per tutte le tasse scolastiche ad eccezione della
sola tassa di diploma. Molti dirigenti scolastici lamentano, però, che le risorse trasferite dallo Stato e dagli enti locali per il funzionamento “ordinario” sono scarsissime. In alcuni casi mancano le risorse necessarie per garantire anche i servizi minimi (igiene nei bagni ed altro). Neanche le necessità del Pof (Piano dell'offerta formativa), sono coperte in modo adeguato dal rifinanziamento annuale della famosa legge 440. Casa deve fare, dunque, una scuola che si trova di fronte ad una simile situazione? È troppo facile, lamentano i dirigenti scolastici, indicare le scuole come responsabili di chieder soldi alle famiglie. Alcuni dirigenti, inoltre, sottolineano che definire «volontario» il contributo stabilito dai Consigli d'istituto con apposita deliberazione appare poco corretto. Una famiglia che iscrive il proprio figlio a una scuola, con quella istituzione si impegna a collaborare, al punto che, per legge, sigla un «patto educativo di corresponsabilità». Se quella scuola, per assicurare livelli adeguati di servizi per il bene dei figli (studenti), chiede un contributo, essa non può essere paragonata a chi chiede soldi per “capriccio”. Lo stesso regolamento dell'autonomia scolastica prevede che «il personale della scuola, i genitori e gli studenti partecipano al processo di attuazione e sviluppo dell'autonomia assumendo le rispettive responsabilità». |