Insegnanti. Quale valutazione? di Pietro Ratto, boscoceduo.it 10.10.2014 Sembra ormai un destino segnato. Anche se, a ben pensarci, viene tanto difficile parlare di “destino” a proposito di una volontà fin troppo umana, quanto di un suo esser inevitabilmente “segnato” in un’epoca in cui si sbandiera ai quattro venti, con orgoglio, la “democrazia” in cui ci si vanta di vivere. Ma tant’è sembra, appunto, giunta per noi l’era della “valutazione”. E siccome mi occupo di scuola, sulla questione di come valutare gli insegnanti intendo soffermarmi un attimo, a riflettere. Com’è possibile valutare il lavoro di un insegnante? Per quanto non immune da problemi, la valutazione di un impiegato può esser condotta sulla base del lavoro effettivamente svolto, sulla mole di documenti prodotti; quella dell’assicuratore può basarsi sul numero di polizze effettuate, quella di un procacciatore d’affari sulla quantità di affari procacciati. Ma come valuteremo un insegnante? Su quanto e come insegna, naturalmente.
Il problema, però, sta
nel criterio - che naturalmente dev’essere il più possibile
oggettivo - da adottare nei confronti di questo “insegnare”. Ma questo dato, in realtà, risulta sfalsato da parecchie variabili. Dalla parte del docente, per così dire, c’è da considerare il suo criterio di valutazione. Più il Maestro è “di manica larga”, per intenderci, più sono alti i voti che dà. Senza contare il fatto che molti insegnanti tendono a gratificare se stessi proprio attribuendo ai ragazzi alte votazioni (ne è un esempio evidentissimo ciò che accade agli Esami di Stato), proprio per dimostrare ai colleghi la loro “bravura”. Certo, sono anni che i docenti vengono impegnati in tortuose griglie di valutazione, di utilizzo rigorosamente collettivo, che dovrebbero proprio azzerare la soggettività del loro criterio valutativo. Ma tutti sappiamo come queste “griglie” (che in moltissimi casi costituiscono, per dirla tutta, delle vere e proprie “gabbie”), vengano effettivamente usate. Sappiamo bene che la gran parte dei docenti il voto lo dà a naso, basandosi proprio sulla propria esperienza, sul proprio istinto di insegnante, e come solo dopo aver elaborato il proprio giudizio si arrabatti a far tornare i conti tra le righe e le colonne di questo imbarazzante strumento. C’è in ballo, mi pare chiaro, il costituzionale diritto alla libertà di insegnamento. E chi ha capito come la valutazione rientri in pieno tra gli strumenti utili a rafforzare l’apprendimento, ha ben chiaro come il voto, spesso, debba possedere anche - e a volte soprattutto - un valore educativo e morale. Gli altri, quelli che non l’hanno capito, possono sempre rileggersi Skinner.
Dal lato degli alunni,
poi, continuo a non capire come si possa trascurare il loro
personale impegno. Un insegnante, in certe difficili situazioni, può
veder crollare tutto il suo sforzo didattico-educativo, tutto il suo
alacre lavoro di un anno, di fronte alla cocciutaggine ed alla
totale indifferenza dei suoi ragazzi. E che facciamo? Puniamo il
maestro perché si ritrova di fronte alunni somari? Si obietterà: il
bravo insegnante sa trasmettere, sa motivare, ottiene sempre il
risultato. Il problema, però, è che non tutti i docenti sanno esser
affascinanti e travolgenti, non tutti sanno “prendere” come dicono i
giovani; altrimenti perché non integrare il concorso con cui li
assumiamo con una sezione dedicata alla valutazione del loro
personale “charme”? Che il bravo insegnante ottenga sempre, o quasi
sempre, il risultato è roba da teorici, da gente che ha la solita
mentalità contabile, la testa da assicuratore; è roba da persone che
non hanno ancora capito che un’insufficienza non è mai la misura di
un fallimento, ma spesso un formidabile incentivo a crescere. E chi
non ha capito quanto conti il personale, in-valutabile,
incalcolabile impegno di un maestro, anche a fronte di risultati non
eclatanti - o, qualche volta, anche di veri “fallimenti” - può
sempre rileggersi Kierkegaard. No, ciò che fa di un docente un Maestro non è l’aggiornamento; tanto più quegli aggiornamenti, quelli che insegnano il numero esatto della normativa sulla Sicurezza, la posizione corretta di un estintore in un luogo pubblico, la differenza tra DSA e BES ed altre vuotaggini di questo tipo. In altre parole, insomma, gli aggiornamenti come li intende, da decenni, il Ministero
E chi non ha ancora
capito che quella dell’insegnante è un’arte, può sempre rileggersi
Augusto Monti. Qualcuno risponderà: le famiglie! Le famiglie sì che tengono d’occhio la situazione. E’ sicuramente di loro primario interesse che i loro ragazzi vengano adeguatamente istruiti. Saranno le famiglie a valutare i docenti! Non è per questo che stiamo spendendo valanghe di soldi nei registri elettronici lasciando crollare a pezzi i laboratori? Ma pensiamoci bene. di quali famiglie parliamo? Ci riferiamo a quelle madri che vengono ad insultare il professore perché ha affibbiato l’insufficienza al loro bambino? Parliamo di quei genitori che non esitano a rivolgersi al Preside (sorry: al Dirigente Scolastico) al primo 4 del loro marmocchio? Di quelli stessi che inchiodano ore ed ore i loro rampolli alla televisione o al computer, senza pretendere alcun potere valutativo su questo genere di “educazione”? Mi si risponderà: tutto sommato è comunque interesse delle famiglie che il loro ragazzo venga accuratamente preparato; altrimenti, poi, come se la caverà il bimbo all’Università? Ma di quale Università stiamo parlando? Di quella in cui gli esami sono sempre più facili? Quella i cui “test d’ingresso” permettono l’accesso anche a studenti risultati talmente insufficienti da aver riportato votazioni sotto lo zero? Parliamo degli Atenei che hanno capito che conviene ammettere anche i somari proprio perché ai migliori, in virtù di questa sacrosanta meritocrazia, non vien fatta pagare la retta annuale? Ci riferiamo, insomma, a quell’Università pubblica, che in quanto tale sta subendo lo sfascio dell’Istruzione italiana (o, se volete, americana!) esattamente come qualsiasi altro ordine di scuola statale? No, non si vede proprio perché mai i genitori dovrebbero reclamare una qualsiasi forma di “rigore” formativo in quella scuola dell’obbligo che null’altro è se non l’avviamento ad un altro ambito sempre meno rigoroso, sempre più degradato e deprimente che attende i loro amati figlioli. Chi non ha chiaro che anche in Italia si sta ormai delineando un netto bivio tra istruzione di serie B (praticata nella sempre più fatiscente scuola pubblica) ed istruzione di serie A (ossia quella venduta a caro prezzo dagli istituti privati); chi non ha ancora compreso che questo sistema a “doppio canale” serve a consolidare una profonda spaccatura tra una massa di persone ben poco istruite e ben poco felici, destinate a lavori mal pagati e privi di garanzie di qualsiasi tipo, ed una ristretta élite di gente ideologicamente e religiosamente indottrinata, sfornata da un percorso di istruzione privato e approfondito, e destinata al ricambio della classe dirigente del Paese; ebbene, chi non ha capito tutto ciò non ha da preoccuparsi. Nella gran massa dei servi sta già inesorabilmente e inconsapevolmente sguazzando da tempo. C’è già dentro, insomma. Fino al collo.
Pietro Ratto - BoscoCeduo.it |