Disoccupazione giovanile?
Colpa dell’istruzione: parola di Confindustria

Alessandro Ferretti, Il Fatto Quotidiano 8.10.2014

Non c’è lavoro per i giovani? Niente paura, Confindustria ha scoperto il colpevole: “Il 40% della disoccupazione giovanile dipende dal mancato collegamento tra scuola e lavoro e dal basso orientamento scolastico”. Lo ha annunciato in pompa magna Ivan Lo Bello, vice presidente per l’Education (sic!), per presentare “L’Education per la crescita”: le 100 proposte confindustriali che rivoltano come un calzino l’istruzione italiana, dalla primaria fino al dottorato.

La fonte del dato è “Studio ergo Lavoro”, una ricerca pubblicata a gennaio dalla McKinsey: la multinazionale di management consulting più famosa del mondo! Mi immergo nella lettura e scopro che si parla dei disoccupati tra i 15 e i 29 anni, che sono circa un milione e centomila: quindi, 450.000 giovani oggi avrebbero un lavoro e vivrebbero felici, se la scuola non li avesse traditi e abbandonati. Ma come fanno a saperlo? Che ricerca hanno condotto, quali statistiche e metodologie hanno usato?

La risposta è: ma quale ricerca? Ma che statistiche o metodologie? Il dato viene ottenuto molto più economicamente e a colpo sicuro, tramite un “ragionamento”. “Nella maggior parte dei Paesi europei” il rapporto tra disoccupazione giovanile e adulta è 2 a 1, mentre in Italia è 3,5 a 1: “se consideriamo il rapporto 2 a 1 un valore naturale,  possiamo concludere che la quota che eccede questo livello dipende da inefficienze proprie del nostro sistema di transizione dalla scuola al lavoro”.

“Possiamo concludere”: vi giuro che è scritto proprio così, e fine delle trasmissioni. Se credete (come crederei anch’io) che in malafede abbia tagliato qualche parte di ragionamento, andate a sincerarvi di persona così mi confermate che non ho avuto le allucinazioni.

D’altra parte, a pensarci bene: ma davvero qualcuno crede che in Italia ci siano 450.000 posti di lavoro belli succulenti e pronti, e che basti avere il diploma giusto per coglierli al volo? Dato che ho cominciato ad nutrire qualche piccolo dubbio sono andato a consultare i dati ufficiali Unioncamere-Ministero del Lavoro. Il numero di assunzioni fallite non è indicato, in compenso c’è il numero delle assunzioni “considerate di difficile reperimento”, con tanto di motivazione delle difficoltà.

Scopro che nel 90% dei casi non viene segnalato alcun problema ad assumere; in più, le difficoltà che riguardano il restante 10% non sono insormontabili, dato che il tempo d’attesa medio per trovare i “difficili” si aggira sui tre mesi e mezzo. I casi in cui le difficoltà dipendono da “mancanza di adeguata preparazione e formazione” sono (ma guarda un po’!) solo il 2% del totale delle assunzioni: circa 12.600 posti, dei quali quelli a livello universitario sono meno di 2.500…altro che i 450.000 della “ricerca” McKinsey!

Allora, caro Ivan Lo Bello, McKinsey e Confindustria tutta: a che gioco giochiamo? Davvero ci volete raccontare che non avete mai visto i dati di Unioncamere? E dato che li avete visti benissimo, davvero un sistema di istruzione che, a detta delle stesse imprese, funziona o non ha colpe nel 98% dei casi dovrebbe essere raso al suolo e rifatto da zero per ridurre i tempi di attesa del restante 2%? O forse non siete riusciti a trovare uno straccio di motivo reale per trasformare la scuola pubblica italiana in un campo di addestramento al lavoro obbediente, costellato di stage, tirocini e apprendistati (tutti rigorosamente non retribuiti)… al punto che vi tocca inventarvelo?

Insomma: la classe imprenditoriale più scarsa del globo terracqueo, in tandem con il Bomba, sta provando a ridisegnare la scuola a suo uso e consumo a suon di sfacciate bugie. Che facciamo? Restiamo zitti come sentinelle in piedi, o entriamo in scena anche noi?